Nell'inchiesta sul crollo della Torre dei Piloti del porto ligure finisce anche l'ente di certificazione, che revisiona e dà l'ok alla sicurezza delle navi. L'avvocato: "A oggi non c'è nemmeno il sospetto". La società: "Solo 5 incidenti su 5 milioni di viaggi di traghetti". Le altre vicende in cui il Registro navale è stato contestato: dalla petroliera che si spezzò in due al largo della Bretagna al caso dell'Al Salam Boccaccio sul quale morirono circa mille persone
Raffaele Paliotto è un granello di sabbia. Con poche parole si è infilato negli ingranaggi milionari del Rina, il Registro navale italiano, società privata genovese che rilascia agli armatori le certificazioni necessarie per la navigazione delle loro flotte. Entra negli ingranaggi del Rina, in particolare, il 7 maggio 2013: è un marittimo e quel giorno si trova a bordo del Jolly Nero, il cargo andato a finire contro la Torre Piloti del porto di Genova, provocando 9 morti. Davanti ai magistrati, a differenza di molti colleghi, racconta tutto ciò che ricorda di quei momenti e va anche oltre. “Devo dire che non è la prima volta che un motore non parte e non consente di fermare l’abbrivio. Di questo caso si parla perché ci sono stati dei morti ma in molti altri casi è avvenuto anche se non se ne è parlato”, dice agli investigatori 4 giorni dopo l’incidente. Il pm Walter Cotugno ascolta e si pone una domanda: quante volte è successo a bordo delle navi Jolly? Paliotto è testimone anche del primo caso, a Marina di Carrara, nel 2003, quando sulla Jolly Platino “non partì la marcia indietro, buttammo le ancore e chiedemmo ai rimorchiatori di agguantare la nave. Ci fermammo a 3 metri dagli yacht”. Il magistrato ricostruisce altri 9 episodi nei dieci anni successivi. Sempre a bordo di navi della serie Jolly, sempre per lo stesso motivo: problemi nel riattivare i motori dopo una manovra.
“Documenti falsi”
Il magistrato si convince che non è un caso, esclude gli incidenti antecedenti al 2008 perché certamente finiranno in prescrizione e iscrive nel registro degli indagati 5 persone. Falso in atto pubblico, l’accusa. Secondo gli investigatori il Jolly Nero e altri 3 mercantili dell’armatore Ignazio Messina, almeno dal 2008 in poi, non avrebbero dovuto avere il Safety Management Certificate, il documento che attesta il rispetto degli standard di prevenzione del rischio. “L’indagine è all’esordio e, certamente, nessuno oggi è in grado di affermare neppure il sospetto che nella gestione di tali pregresse avarie vi siano state negligenze da parte di chicchessia e, in particolare, del Rina”, spiega l’avvocato Giuseppe Giacomini, rappresentante della società di certificazione. La procura crede invece che quelle navi non fossero in possesso dei requisiti minimi per ricevere l’ok del Rina, che di quel tipo ne rilascia a migliaia tra cargo, traghetti e navi da crociera ogni anno e in ogni parte del mondo.
Eccolo, l’ingranaggio milionario. “Un muro di gomma sul quale si può solo rimbalzare”, confida a ilfattoquotidiano.it chi il mondo del Rina lo conosce bene. Ora in quel muro c’è una crepa, aperta dalle parole di Paliotto e allargata da centinaia di documenti sequestrati durante l’inchiesta principale, che vede a processo 5 persone per il disastro del Molo Giano di Genova e ha dato origine alla nuova indagine incentrata sul sistema di rilascio delle certificazioni. Come hanno scritto Secolo XIX e Stampa, nel secondo filone sono indagati, oltre all’armatore Ignazio Messina, due funzionari del Rina. “La procura di Genova ci fornisce una speranza – affermano gli avvocati Alessandra Guarini, Cesare Bulgheroni e Massimiliano Gabrielli, da anni impegnati al fianco di vittime di disastri navali – Ora vada fino in fondo dopo aver aperto un orizzonte investigativo fino a contemplare anche responsabilità di due dipendenti del Rina. Troppe volte in passato imbarcazioni certificate dal Registro Navale sono state coinvolte in gravi incidenti”. Almeno in quattro occasioni, dal 1999 a oggi, navi verificate dal Rina, leader mondiale nelle certificazioni nel settore delle navi passeggeri, hanno avuto a che fare con incidenti.
L’intercettazione sulla Fascinosa
Un indizio su come rischiano di funzionare i test che permettono la navigazione delle imbarcazioni lo fornisce l’ingegnere Paolo Parodi, dipendente di Costa Crociere. Sono passati tre mesi dall’incidente della Concordia, Parodi e l’avvocato Cristina Porcelli, legale di Costa, sono intercettati. Parlano di un problema a una delle “boccole”, i cuscinetti montati sugli assi delle eliche, della nave Fascinosa, una città galleggiante che può ospitare fino a 3800 passeggeri. Porcelli è preoccupata in vista delle prove a mare, ma Parodi la tranquillizza: “Rina fa quel che vuole Fincantieri”, ovvero l’azienda che ha costruito la Fascinosa. “È interesse di tutti fare delle prove a mare finte”, prosegue l’ingegnere. L’intercettazione spunta al processo per il disastro della Costa Concordia e l’allora ministro Maurizio Lupi ordina un’ispezione negli uffici del Rina. La questione finisce nel nulla.
Il Rina: “Solo 5 incidenti su 5 milioni di viaggi”
Il Rina si difende. Contattato da ilfatto.it, spiega per esempio che “il numero complessivo di viaggi fatti negli ultimi 10 anni da tutti i traghetti nel Mediterraneo è di circa 5 milioni, a fronte dei quali si sono verificati 5 incidenti di rilievo che hanno coinvolto traghetti classificati dal Rina“. Ricorda che è la società leader in Italia, con oltre 3mila dipendenti a tempo indeterminato e socio fondatore della Iacs, di cui fanno parte le 12 più importanti società di classificazione al mondo. Aggiunge che è “risultato mediamente tra le 3 migliori società di classifica, nel complesso delle 60 società mondiali e delle 12 appartenenti all’Iacs”. Ad oggi la flotta classificata dal Rina è di circa 5450 navi e il Registro navale italiano è il primo per numero di traghetti classificati al mondo e il terzo per numero di navi da crociera. “In ambito certificativo – prosegue la nota del Rina – a livello globale sono oltre 25mila i certificati Rina attivi legati ai Sistemi di Gestione, oltre 40mila quelli legati ai processi e al personale, oltre 30mila quelli di prodotto”. Il Rina, inoltre,è “accreditato dai principali organismi di accreditamento (Accredia, Anab, Egax, Inmetro, Nabcb, Renar, Ispra, Fssc, Saas) e notificato dai ministeri competenti a operare secondo le più importanti direttive comunitarie, ai fini del rilascio della marcatura Ce. Questi organismi conducono regolari verifiche sull’operato e sulla rispondenza ai rigorosi standard internazionali applicabili delle società di certificazione, con esito sempre positivo per il Rina”. Il Rina sottolinea anche che è sottoposto a circa 200 audit all’anno.
L’unica condanna? In Francia
Restano, tuttavia, le storie in cui il Rina è coinvolto. È arrivata a sentenza definitiva, per esempio, la controversia legata al disastro ambientale causato dal naufragio della petroliera Erika, che si spezzò in due al largo della Bretagna nel 1999. Rina Spa aveva rilasciato i certificati per la navigazione ma, secondo i tecnici della Bea Mar, l’ufficio francese per le inchieste sugli incidenti in mare, c’erano “segnali evidenti di debolezza strutturale ben visibili e documentabili” tanto che nei mesi precedenti erano state notate gravi corrosioni delle paratie e dello scafo della petroliera. “Ma nonostante questo”, concludeva la Bea Mar, “il Rina, incaricata dagli armatori dei controlli, non ha fatto alcuna verifica supplementare della struttura”. La società genovese sostenne di dover essere giudicata in Italia e non dai tribunali francesi, nonostante la nave battesse bandiera maltese e il fatto si fosse verificato nell’Oceano Atlantico. I giudici d’Oltralpe non hanno ritenuto vi fosse un difetto di giurisdizione e nel 2012 la Corte di Cassazione parigina ha condannato in via definitiva il Rina, l’armatore e la compagnia petrolifera Total a risarcire i danni per uno dei più gravi disastri ambientali della storia.
Il caso dell’Al Salam Boccaccio 98
Se si vola dalla Bretagna all’Egitto, c’è un altro giorno buio da raccontare. Il 2 febbraio di dieci anni fa, l’Al Salam Boccaccio 98 affonda per un incendio mentre naviga nel Mar Rosso. Muoiono oltre mille persone. La nave era stata costantemente “seguita” dal Rina, fin dalla sua nascita nel 1970 e anche dopo gli interventi di trasformazione nel 1991. Ma quando gli avvocati chiedono la consegna di tutti i documenti rilasciati agli armatori del traghetto, il Rina si oppone. Il Tar però dà ragione ai legali. Stefano Bertone e Marco Bona, che ora hanno una causa pendente in Cassazione contro la società genovese alla quale hanno chiesto il risarcimento dei danni per conto dei familiari di circa 150 vittime, sostenendo che il Rina avrebbe svolto male le ispezioni a bordo nave, omettendo di controllare l’efficacia dell’impianto antincendio, dello scarico dell’acqua a mare – la nave si rovesciò a causa di enormi quantità d’acqua intrappolate in garage – e rilasciando i certificati pur in presenza di un equipaggio formato approssimativamente. La Suprema Corte deciderà nelle prossime settimane se, come sostiene il Rina, a giudicare debbano essere i tribunali di Panama, dove la Al Salam Boccaccio era registrata, oppure se il difetto di giurisdizione non esiste poiché il Registro navale ha operato e emesso documenti da Genova.
Il Norman Atlantic: una questione aperta
È in divenire anche il caso del Norman Atlantic, il traghetto andato a fuoco al largo delle coste albanesi il 28 dicembre 2014 mentre era in navigazione tra Patrasso e Ancona. L’incidente ha provocato 11 morti e 18 dispersi. Il Rina Services, braccio operativo di Rina, ha seguito la costruzione della nave lavorando accanto e nell’interesse dell’armatore. Contemporaneamente è sulla base delle ispezioni del Rina che l’Italia ha rilasciato i certificati che attestano come la gestione a bordo sia conforme alle disposizioni di sicurezza. Un cortocircuito? Secondo molti sì. Di certo c’è che quando gli avvocati Bertone, Bona e Silina Pavlakis – che rappresentano 9 familiari di vittime e 75 passeggeri – hanno richiesto 14 documenti tecnici del Norman Atlantic, il Rina glieli ha negati opponendo ragioni formali. Quando lo scorso dicembre ilfattoquotidiano.it sollevò il caso, il Registro navale rispose che quella era “l’unica istanza non accolta” poiché “non presentava i requisiti minimi”. Ma, sostengono i legali, lo stesso incartamento ritenuto carente dal Rina è bastato per costituirsi nell’incidente probatorio richiesto dai pm della procura di Bari, Ettore Cardinali e Federico Perrone Capano. Gli accertamenti degli inquirenti si stanno concentrando sul funzionamento del sistema antincendio e sulla sua corretta manutenzione, aspetti sui quali il Rina era chiamato a vigilare. Le ispezioni sono state eseguite correttamente nel corso degli anni? L’indagine dovrà rispondere anche a questo interrogativo. Un altro granello di sabbia potrebbe finire negli ingranaggi.