A vincere il referendum anti-trivelle del 17 aprile sono stati soprattutto i francesi, anche se non se ne è accorto quasi nessuno. Grazie all’azione del governo italiano, che in più di un’occasione e con più di un provvedimento negli ultimi anni ha favorito Edison. Perché se è vero che Eni è la compagnia titolare della maggior parte delle concessioni interessate dalla consultazione, è altrettanto sicuro che i progetti più importanti e redditizi sono nelle mani della multinazionale controllata al 99,5% dal gruppo Électricité de France, per l’84% di proprietà statale. Che oggi, in virtù del mancato raggiungimento del quorum, può realizzare sia la piattaforma Vega B, a largo della costa di Pozzallo, in provincia di Ragusa (da affiancare alla già esistente Vega A), sia il progetto che prevede 4 nuovi pozzi per la piattaforma Rospo Mare B, in Abruzzo. Tutti riguardano l’estrazione di petrolio.

La possibilità di sfruttare i giacimenti di gas e greggio per la loro ‘durata di vita utile’, opportunità non da poco introdotta dal governo Renzi nella legge di Stabilità, è il regalo più grande. Ma non è l’unico. Solo una vittoria del ‘sì’ al referendum avrebbe potuto ostacolare i progetti della multinazionale. Nonostante Vega B avesse già ottenuto l’autorizzazione, infatti, in caso di abrogazione della norma avrebbe fatto fede la data di scadenza della concessione, a dicembre 2022. E non si sarebbero più potuti rilasciare altri titoli entro le 12 miglia. Morale: Edison avrebbe avuto solo sei anni di tempo per mettere in piedi la piattaforma, scavare i pozzi ed estrarre. Un affare poco produttivo. Come quello dei nuovi 4 pozzi previsti da collegare alla piattaforma Rospo Mare B, nell’ambito della concessione B.C 8.LF (grazie alla quale già operano tre piattaforme e 29 pozzi). Se non fosse valsa ‘la vita utile del giacimento’, Edison avrebbe avuto tempo fino a marzo 2018 per realizzare nuovi pozzi. Ora potrà agire sine die. Pressioni politiche, rapporti diplomatici e lobby. Dopo l’affaire Tempa Rossa, è lecito interrogarsi su autorizzazioni, proroghe, circostanze e coincidenze che negli ultimi tempi hanno fatto felici i francesi.

I CONTI DI EDISON – Edison ha chiuso il bilancio 2015 in rosso per 776 milioni, anche se con un indebitamento di 1.147 milioni di euro, 619 in meno rispetto allo scorso anno. Per quanto riguarda il settore degli idrocarburi, nel 2015 i ricavi di vendita sono aumentati del 6,7% rispetto al 2014. Sommando le produzioni interne e quelle all’estero, quella di petrolio è cresciuta del 4,6 per cento, risultato di un calo del 2,8% di quella domestica e di un aumento del 17,3% di quella estera. Un momento difficile, quindi. E in un’intervista al Corriere della Sera l’amministratore delegato Marc Benayoun ha spiegato che un eventuale ‘sì’ al referendum “avrebbe avuto un impatto economico negativo”. La posizione dell’azienda è chiara: per Edison l’esito del referendum è una vittoria. Nessun commento su presunti ‘trattamenti di riguardo’ da parte del governo.

LA STRANA STORIA DELLE PIATTAFORME VEGA – Di certo c’è che ora nulla potrà fermare i progetti in cantiere. La concessione nell’ambito della quale verrà realizzata Vega B è la C.C6.EO. L’originario ‘Programma di Sviluppo’ venne approvato nel 1984 e prevedeva la realizzazione di due piattaforme, la Vega A e la Vega B. La prima è oggi la più grande piattaforma petrolifera fissa off-shore italiana, mentre la seconda non fu mai costruita e scomparve da qualsiasi documento. Fino al 2012, quando titolare della concessione era già Edison al 60 per cento con Eni socio di minoranza al 40 per cento. Il 5 gennaio 2012 la compagnia chiese una proroga decennale e a luglio dello stesso anno presentò domanda di pronuncia di compatibilità ambientale per Vega B. Sul sito del ministero si legge che a Vega A sono allacciati 19 pozzi, il nuovo progetto ne prevede altri 12. Perché, dunque, è ragionevole affermare che negli anni Edison ha ricevuto diversi trattamenti di favore da parte di via Veneto? Non tanto per la proroga della concessione (scaduta nel 2012 dopo 28 anni) arrivata il 13 novembre 2015, a neanche 6 settimane dall’entrata in vigore della legge di Stabilità 2016 con il divieto assoluto di nuove perforazioni entro le 12 miglia, quanto per i particolari del placet arrivato da Roma.

INQUINAMENTO CON ‘BUONA CONDOTTA’ – Dopo la procedura integrata Via-Aia che si è conclusa positivamente al ministero dell’Ambiente il 15 aprile 2015 (negli stessi giorni è arrivato l’ok anche per Rospo Mare, al 61,7 % di Edison), a novembre il Mise ancora guidato da Federica Guidi ha concesso la proroga per “buona gestione del giacimento” fino al 2022, dimenticando un particolare non di poco conto. Il ministero dell’Ambiente, infatti, si è costituito parte civile e ha richiesto un risarcimento di 69 milioni di euro a Edison nel processo che si sta tenendo a Ragusa e in cui la multinazionale è accusata di aver iniettato illegalmente in un pozzo sterile enormi quantità di rifiuti petroliferi tra il 1999 e il 2007, nell’ambito delle attività collegata alla piattaforma Vega A. Tradotto: il ministero dell’Ambiente ti chiede un risarcimento milionario perché inquini, mentre il Mise ti fa continuare a estrarre per ‘buona condotta’.

QUESTIONE DI POLITICA DIPLOMATICA – In ballo ci sono tantissimi milioni di euro. E un rapporto, quello tra Roma e Parigi, che sembra essere assai saldo alla luce del favore a Total su Tempa Rossa e a Edison su Vega A. Non solo in tema energia: è ancora accesa la polemica per l’accordo siglato a gennaio 2015 dall’Italia per ridefinire i confini marittimi con la Francia. Nel silenzio assoluto e senza passare dal Parlamento, il governo ha dato l’ok alla cessione di un triangolo di mare al largo delle coste di Liguria e Sardegna. Acque molto pescose, per chi quel tratto di Tirreno lo conosce bene. E ricche di gamberoni e pesci spada. Ebbene, alla stipula del trattato di Caen non hanno partecipato solo ministeri politici, ma anche tecnici. Come quelli del Mise. Il motivo? L’articolo 4 disciplina ‘lo sfruttamento di eventuali giacimenti di risorse del fondo marino o del suo sottosuolo, situati a cavallo della linea di confine’. Giacimenti di risorse, quindi di petrolio o gas. Come quello di Tempa Rossa (concesso alla francese Total per il 50%, mentre l’inglese Shell e la giapponese Mitsui hanno ciascuna il 25%), come per la piattaforma Vega A e, in futuro, per Vega B.

LO ZAMPINO DELLE LOBBY – C’è un altro filo rosso tutto lobbistico, poi, che collega le due infrastrutture. Ed è rappresentato da Gianluca Gemelli, il compagno dell’ex ministro Guidi, dimessasi proprio dopo la pubblicazione dell’intercettazione in cui comunicava al suo fidanzato l’imminente via libera all’emendamento che di fatto ha sbloccato Tempa Rossa. Gemelli conosce molto bene Vega A. E non per l’attività della sua società Industrial Technical Services, che si occupa di “costruzione, avviamento e manutenzione di impianti chimici, petrolchimici, petroliferi, farmaceutici e di produzione di energia”. Prima di conoscere Federica Guidi, infatti, Gemelli era sposato con Valentina Ricciardi, figlia di Giuliano Felice Ricciardi, che ha introdotto il genero nel giro degli ambienti che contano. Ricciardi, guarda caso, era uno dei progettisti di Vega A. Solo coincidenze, per carità. Fatto sta che, tornando agli effetti del referendum mancato, delle 94 piattaforme attive entro le 12 miglia marine Eni possiede la stragrande maggioranza, ma i progetti in cantiere più importanti sono proprio quelli di Edison.

LE POSSIBILI PRESSIONI – Evidente, quindi, l’interesse della multinazionale e, di conseguenza, della Francia. Probabili le pressioni politiche. Che, in altri casi, ci sono state di sicuro. Del resto lo ha detto anche il ministro Maria Elena Boschi ai pm che l’hanno interrogata: “L’ambasciata inglese ci sollecitò l’emendamento Tempa Rossa”. I francesi hanno fatto lo stesso? Di certo lo stesso ministro Boschi (che a luglio ha rappresentato il governo ai festeggiamenti della Repubblica di Francia) a novembre è volata a Parigi per due importanti incontri istituzionali. E non è escluso che durante quei colloqui si sia parlato anche di energia. E quindi degli interessi di Edison che, come Eni del resto, è di proprietà pubblica. Interessi cui si è sempre dato un certo peso. Anche al di qua del confine.

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