di Maria De Paola e Tullio Jappelli (Fonte: lavoce.info)

I numeri delle università telematiche

A 13 anni dalla loro nascita (sono state istituite nel 2003), le università telematiche in Italia sono diventate undici. Nel 2014-15 hanno immatricolato circa 5.500 studenti (il 2 per cento di tutti gli immatricolati), raggiungendo i 63.625 iscritti (4 per cento del totale), con una crescita di circa il 60 per cento negli ultimi 5 anni. Nello stesso periodo le università tradizionali invece hanno visto ridursi i propri iscritti del 7,4 per cento. Infatti, mentre il numero degli immatricolati agli atenei tradizionali è diminuito ininterrottamente dal 2006, le università telematiche dopo una riduzione nel 2012 e 2013 (rispetto al picco raggiunto nel 2011) hanno ripreso a guadagnare studenti (si vedano grafici sottostanti).

Gli iscritti alle università telematiche sono studenti con risultati scolastici non particolarmente brillanti: nel 2016, il 31 per cento degli immatricolati ha un voto di diploma inferiore a 69, rispetto al 22 per cento nelle altre università (dati Miur). È consistente anche la quota di studenti “maturi”: nel 2016 il 18 per cento degli immatricolati alle telematiche aveva più di 40 anni, rispetto allo 0,7 per cento nelle altre università.

Grafico 1 – Andamento temporale immatricolati nelle università telematiche e nelle università tradizionali

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L’esempio degli altri paesi

Le università online non sono certamente un fenomeno solo italiano. Ad esempio, negli Stati Uniti nel 2013 l’11 per cento degli studenti universitari era iscritto a un corso di laurea con attività didattiche integralmente online. Si tratta in gran parte di corsi offerti da università private, in genere di grandi dimensioni e non particolarmente selettive. Anche in Europa la formazione a distanza ha assunto dimensioni considerevoli, ma a differenza degli Stati Uniti, le principali università online sono pubbliche, come la spagnola Uned con 200mila iscritti e uno staff di 1.400 docenti e l’inglese Open University con circa 180mila studenti e con docenti molto attivi anche nella ricerca.

Per le università, i corsi online riducono i costi dell’istruzione, perché grazie alle nuove tecnologie è possibile offrire la stessa lezione a un gran numero di studenti senza i costi di congestione che si avrebbero aumentando la dimensione delle classi. Negli Stati Uniti ciò ha permesso tasse più basse per gli studenti (Deming et al., 2013). Negli Stati Uniti, Spagna e Inghilterra operano tuttavia università telematiche di grandi dimensioni, che possono beneficiare pienamente dei vantaggi derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie. In Italia, invece, nel 2015-16, la più grande università italiana online, la Guglielmo Marconi, aveva solo 14.500 iscritti, seguita da ECampus con 4.299 studenti e da altre ancora più piccole. Si tratta di numeri troppo bassi per sfruttare pienamente le economie derivanti dalla tecnologia online.

Ciò può contribuire a spiegare le elevate tasse praticate dalle nostre università telematiche: intorno ai 2mila euro annui, ma molto maggiori in caso sia previsto un servizio di tutoring (ad esempio, l’iscrizione a ECampus con tutor in presenza per 60 ore all’anno costa 7.900 euro).

Competizione impari

Eppure nel nostro paese le università online godono di un vantaggio in termini di costo che non si riscontra in altri paesi. Come si può notare dalla tabella, infatti, il loro corpo docente è costituto prevalentemente da professori a tempo determinato: ben il 71 per cento, rispetto al 6 per cento delle università tradizionali. Un ruolo importante nell’organico delle telematiche è rivestito dai cosiddetti “professori straordinari a tempo determinato”, molto spesso docenti in pensione dagli atenei tradizionali. Il decreto ministeriale 18 marzo 2016 n. 168 ha infatti permesso di conteggiare questa speciale categoria di docenti in sostituzione dei professori associati e ordinari, ai fini dell’accreditamento dei corsi di studio.

Per dare un’idea della diffusione di questa tipologia di docenti, nelle università italiane vi sono oggi 304 professori straordinari a tempo determinato, quasi tutti in servizio presso atenei privati (286), prevalentemente telematici (194). Nonostante sia prevista sin dal 2005 (legge n. 230, articolo 1, comma 12), questa categoria di docenti si è diffusa nelle università private soprattutto negli ultimi anni: dai 70 professori straordinari a tempo determinato del 2010 si è passati agli attuali 304.

Tabella 1 – Caratteristiche docenti Anno 2015, Dati Miur

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Le regole più elastiche, introdotte dal decreto 168, sui requisiti di accreditamento rappresentano un indubbio vantaggio a favore delle università telematiche e private rispetto a quelle tradizionali e si falsa così la competizione tra diversi tipi di atenei, sussidiando in via indiretta le prime, che fronteggiano un costo per il personale docente di molto inferiore a quello sostenuto dalle tradizionali. Una secondo, notevole vantaggio, è quello di rilasciare un titolo di studio con il medesimo valore legale delle altre.

Non vi sono ragioni che possano giustificare questo tipo di sostegno: una concorrenza su un piano di parità potrebbe spingere le università telematiche a offrire un servizio migliore con effetti positivi sulle competenze acquisite dagli studenti. E l’eliminazione del valore legale del titolo di studio potrebbe rimuovere la rendita di posizione di università online alle quali alcuni studenti si iscrivono per l’unica ragione di ottenere una certificazione legale degli studi seguiti.

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