Le sue auto sportive, nate grazie a un litigio con Enzo Ferrari, dovevano solo fare pubblicità ai trattori. Ma sono diventate famose in tutto il mondo, così come il marchio del Toro, esotico ed eccessivo
Cento anni fa, proprio il 28 aprile del 1916, a Renazzo (Ferrara) nasceva sotto il segno del toro Ferruccio Lamborghini. Dopo Enzo Ferrari, è il costruttore di automobili italiano più famoso del mondo, ed è curioso che tutto ebbe inizio proprio da un litigio tra di loro. La storia della frizione fragile della 250 GT e delle lamentele di quello che “sapeva guidare solo i trattori” è famosa quasi quanto la Miura, la Countach e la Diablo, le tre supercar più rappresentative dell’azienda di Sant’Agata Bolognese, ognuna in grado di rapire i sogni di almeno un paio di generazioni di ragazzi e non solo. E pensare che per il signor Ferruccio le auto sportive dovevano solo fare pubblicità ai sui trattori, il vero “core business” dell’azienda.
La storia, però, ha preso una piega diversa e sebbene la Lamborghini non abbia mai partecipato a competizione sportive e abbia sempre prodotto meno automobili rispetto alla Ferrari, il valore del suo marchio non si discute. Se, parlando di auto, ci si riferisce a qualcosa di esotico e di estremo, non può che trattarsi di una Lamborghini, anche se la cura Volkswagen degli ultimi anni ha mano a mano sedato quella peculiare follia tipica dei tori con gli occhi iniettati di sangue. Oggi a Sant’Agata si producono due berlinette a motore centrale che possono essere guidate da chiunque, senza che rischi di mettersele per cappello, come poteva succedere con una Diablo. Certo, un pò tutte le supercar contemporanee sono “a prova di imbranato” e l’arrivo del suv (nel 2018) sarà un altro passo verso la standardizzazione del marchio.
Forse il signor Ferruccio gli avrebbe preferito la LM002, antesignana dei moderni Hummer, o forse nemmeno quella. Del resto nel 1974 si era già ritirato a vita privata, sul Lago Trasimeno a produrre vino nella tenuta La Fiorita. Lui era così, passionale, istintivo e visionario, ma quando le cose iniziavano ad andare male, si stufava in fretta. Come nel 1948, quando dopo aver percorso due terzi della Mille Miglia al volante di una Topolino da lui stesso modificata e dopo averla la schiantata nel piazzale di un ristorante torinese, decise di smettere con le corse. O come quando vendette la divisone trattori alla rivale SAME (1972) e quella automobili a due amici imprenditori (1973-1974).
Chissà che cosa direbbe oggi, a vedere l’azienda che porta il suo nome in mano a un altro italiano, uno che però ha un passato (e che passato) in Ferrari come Stefano Domenicali. Magari ne sarebbe felice o magari no, perché si ricorderebbe del figlio Tonino e del suo disinteresse per le auto sportive. Forse, invece, metterebbe in moto il suo Riva Aquarama da 700 CV – esemplare unico con motori Lamborghini commissionato da lui stesso nel 1965 – e sfreccerebbe via sull’acqua salutando tutti.