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Campania, Travaglio: “Pd? Graziano ebbe 15mila voti e non erano tutti gratis”

Confronto tra Marco Travaglio, direttore de Il Fatto Quotidiano, e Rosy Bindi, presidente della commissione antimafia, situazione campana del Pd nel corso di Otto e Mezzo (La7). Travaglio prende spunto dalle dichiarazioni rese dal governatore della Campania alla rubrica settimanale #matteorisponde di Matteo Renzi e menziona le liste dei candidati impresentabili alle elezioni regionali del 31 maggio scorso. “In quell’elenco” – ricorda Travaglio – “c’era anche lo zio di Stefano Graziano. Lo stesso Saviano, a cui si può dire di tutto tranne che non conosca la realtà della Campania e soprattutto dell’area casertana. disse che De Luca e il Pd in Campania avevano aperto le liste a Gomorra”. E aggiunge: “Alla fine De Luca ha vinto le elezioni per 55mila preferenze in più rispetto a Caldoro del centrodestra. Graziano ha preso 15mila. Vuol dire che se rinunci a Graziano, metti in pericolo la tua elezione a governatore della Campania. I giudici arrivano alla fine, i carabinieri arrivano un po’ prima, i giornalisti, quando sono bravi, come la Capacchione e Saviano, arrivano comunque, ma i primi a sapere queste situazioni sono i politici. Nel territorio” – continua – “se ha un senso la politica locale, questa drizza le antenne e prende provvedimenti. Questo avviene se uno vuole tirare fuori dalla società il meglio. Se invece vuole tirar fuori tante preferenze, non c’è problema: prendo il pacchetto di voti che prima aveva Cosentino e me lo porto in casa. Però non è gratis, perché questo a un certo punto implica un contraccambio“. Gli fa eco Rosy Bindi: “A prescindere dalle leggi, un partito politico che ha un parlamentare che è condannato in primo grado dovrebbe trarre le conseguenze. E ovviamente anche il parlamentare stesso. La politica, se vuole veramente, come è giusto, rivendicare l’autonomia rispetto alla magistratura e non vuole da quest’ultima invasioni di campo, in un corretto equilibrio di poteri, dovrebbe arrivare prima della magistratura. Questa è l’unica garanzia che non sia la magistratura a selezionare la classe dirigente”