I magistrati contabili mettono sotto accusa i dirigenti del ministero dell'Economia che nel 1994 firmarono i contratti capestro: "Le procedure adottate dal ministero violavano le norme di contabilità generale dello Stato e in diversi casi sembravano orientate unicamente e senza un valido motivo a favorire la banca”
L’accusa è pesantissima e apre scenari inediti: sarebbe stato commesso un danno erariale da 3,8 miliardi di euro nella ristrutturazione dei derivati sottoscritti dal Tesoro con la banca d’affari Morgan Stanley avvenuta nel 2012. A formularla è la Procura regionale della Corte dei conti del Lazio guidata da Raffaele De Dominicis grazie alle indagini condotte dal Nucleo di polizia tributaria di Roma. Al centro, le clausole capestro fatte valere dalla banca a fine 2011 e garantite dal Tesoro. I cui vertici – risulta al Fatto – sono ora “molto preoccupati”.
Poche cose in Italia sono coperte da segreto come i derivati di Stato sul debito pubblico. Al momento, stanno causando una perdita potenziale di 42,6 miliardi (dati 2014), ma non si può sapere se sarà effettiva perché i contratti sono segreti. I derivati sono una scommessa tra due soggetti: se si verificano alcune circostanze, uno perde e l’altro vince. I più diffusi, e usati dal Tesoro nel periodo che precedette l’ingresso dell’Italia nell’euro, sono gli Swap, utilizzati per proteggersi dal rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato, come quello sperimentato nel 2011. Se questi salgono, il Tesoro risparmia, viceversa ci perde, come sta avvenendo ora. A oggi, l’Italia ci ha perso più di tutti in Europa: 23,6 miliardi nel 2011-2015, su un ammontare complessivo di 160 miliardi.
La vicenda Morgan Stanley è nota. A gennaio 2012 – governo Monti – quando lo spread era a 500 punti, il Tesoro ristruttura, perdendoci, 5 contratti derivati sottoscritti con la banca in un accordo quadro del 1994. Per i magistrati contabili, i dirigenti che li firmarono dovrebbero ora rispondere del danno. I nomi non vengono fatti, ma la preoccupazione del ministero è facile da intuire. In quel periodo al governo c’è Carlo Azeglio Ciampi, ed è un’epoca frenetica, con il Tesoro che cerca di rispettare i parametri di Maastricht per entrare nell’Eurozona. Ministro è Piero Barucci e direttore generale Mario Draghi. A dirigere il dipartimento del debito pubblico c’è Vincenzo La Via, attuale direttore generale del dicastero. Il suo sostituto, Maria Cannata, in un’audizione ha spiegato che ad approvare l’accordo fu Mario Paolillo, all’epoca alto dirigente del Tesoro, ora deceduto. Ma queste operazioni non si fanno all’insaputa dei vertici, e infatti se venissero ripetute ora, a firmare sarebbe la Cannata. La vicenda emerge nella relazione generale tenuta da De Dominicis per l’inaugurazione dell’anno giudiziario e svelata dai deputati di Alternativa libera Possibile: “Vista la portata della notizia, ci chiediamo dove sia la relazione che la Commissione Finanze della Camera doveva fare e di cui si sono perse le tracce nel rimpasto dei vertici. Perché non vengono fornite informazioni sui contratti?”, accusa il deputato Massimo Artini.
Torniamo al 1994. Nell’accordo quadro, il Tesoro garantisce alla banca una clausola “unilaterale” Additional termination events (Ata): se si fosse trovato esposto oltre un certo livello, Morgan Stanley “poteva chiedere la chiusura del portafoglio”. E questo perché il Mef “non aveva prestato la garanzia a collaterale (contante o titoli)” prevista dall’accordo. Il ministero non l’ha fatto, perché la garanzia avrebbe fatto salire deficit e debito, che invece si voleva far scendere per entrare nell’euro. Per i pm contabili, questo buco rende i contratti “non idonei” a stabilizzare il debito e il Tesoro doveva astenersi dal siglarli visto che la soglia era così bassa da venire superata quasi subito.
Le accuse di “malagestio” sono gravi e documentate: pochi uomini preposti alle operazioni; strumenti inadeguati, contratti volutamente “speculativi” etc. E poi la botta: “Le procedure adottate dal ministero violavano le norme di contabilità generale dello Stato” e “in diversi casi sembravano orientate unicamente e senza un valido motivo a favorire la banca”. Per due contratti (interest rate swap), la ristrutturazione “venne proposta da Morgan Stanley senza un valido motivo e accettata dal Mef senza esercitare alcun ruolo attivo”. Nella lista c’è poi un altro derivato, sottoscritto da Infrastrutture spa, accollato nel 2007 al Tesoro e da questo gestito malissimo. La Procura contabile ha segnalato i dirigenti firmatari e chiede 3,8 miliardi di danni. Toccherà ora ai giudici contabili stabilire se queste ricostruzioni siano fondate e in che misura.
Da Il Fatto Quotidiano del 28 aprile 2016