Protesta in questura di una trentina di profughi, principalmente di origine pachistana, gestiti dalla cooperativa sociale Dimora D’Abramo su incarico della prefettura locale. Il rappresentante dem su Facebook ha criticato l'iniziativa ed è stato contestato a sua volta dai colleghi di partito. La coop si difende
A Reggio Emilia la chiamano “la rivolta dei maccheroni”, perché il 27 aprile scorso una trentina di profughi, principalmente di origine pachistana, gestiti dalla cooperativa sociale Dimora D’Abramo su incarico della prefettura locale, ha organizzato una manifestazione pacifica nella questura del capoluogo di provincia emiliano romagnolo. Motivo della protesta, la qualità del cibo servito ai rifugiati in una mensa convenzionata con la cooperativa. Pasta troppo cotta, menù poco vari, prodotti che non appartengono alla cultura dei paesi di provenienza dei profughi, e che i manifestanti vorrebbero fossero sostituiti con altri alimenti.
Un caso che a Reggio Emilia fa discutere, ma non solo per la questione accoglienza. Il primo a commentare la “rivolta”, infatti, è stato Giacomo Bertani Pecorari, assessore alle Attività produttive di Quattro Castella, del Partito democratico, che sul suo profilo Facebook, in un post ripreso dalla Gazzetta di Reggio, ha scritto: “E’ indegno leggere della protesta dei rifugiati ospiti della comunità reggiana per la presunta eccessiva cottura della pasta. Solo l’aver pensato ad una rimostranza simile, quando da mesi viene loro garantito un dignitoso vitto e alloggio, significa sputare sulla nostra generosa ospitalità. L’unica risposta che avrei dato ad una protesta del genere è un sonoro calcio nel culo, altro che delegati e dialogo”.
Parole da polemica, tanto che c’è chi paragona il messaggio dell’assessore a quello di Matteo Salvini, leader della Lega Nord, che sul caso, sempre su Facebook, ha scritto: “Decine di presunti profughi, ospiti da mesi (a spese nostre) della Cooperativa Dimora d’Abramo, hanno protestato a Reggio Emilia per la scarsa varietà del cibo e per la cottura della pasta. Tutti a casa loro subito, così mangiano quello che vogliono”. Frasi considerate meno forti rispetto a quelle del Democratico Pecorari, che poco più tardi ha modificato il proprio post su Facebook, rimuovendo la frase incriminata e sostituendola con “l’unica risposta che avrei dato a una protesta del genere è un sonoro no, altro che delegati e dialogo”.
Un passo indietro che però non a tutti, nel Pd, è bastato. “Non è ammissibile che per una presunta pasta scotta Reggio passi da ‘città delle persone’ a ‘città dei calci in culo’ – scrive suFacebook Lanfranco De Franco, consigliere comunale a Reggio – con le persone si parla, si spiega e se fanno richieste illegittime si può anche dar loro torto. Reggio ospita senza problemi 800 profughi e continuerà a farlo rispettando tutti. La violenza la lascio a Salvini e ai suoi seguaci, anche se questo fa perdere consenso fra chi ragiona con la pancia”.
“La terminologia usata in questo post non ha nulla a che fare con la cultura democratica che contraddistingue questa terra e la forza politica che rappresenti – scrive anche Mirko Tutino, assessore alle Infrastrutture di Reggio Emilia – l’incontro avvenuto in questura era finalizzato a chiedere che gli alberghi, insieme agli altri soggetti rimborsati dallo Stato per gestire l’ospitalità, sostituiscano alcuni alimenti che non fanno parte della cultura dei paesi di provenienza di parte dei profughi. Interventi che non hanno alcun costo aggiuntivo e che rientrano in una prassi che da anni le amministrazioni comunali del nostro territorio hanno in tutte le nostre strutture (mense scolastiche, asili, centri di accoglienza ecc..). É un tratto di civiltà considerato normale in qualsiasi paese d’Europa e credo sia facilmente affrontabile senza prevedere calci nel sedere a nessuno. Mi aspetterei, da un amministratore pubblico che sa perfettamente il valore che ha un post su Facebook, un minimo di approfondimento sulla realtà. Prima di scrivere interventi di questo tipo”.
A difendere il proprio menù, invece, è la cooperativa Dimora D’Abramo, che già ad agosto era finita al centro delle polemiche per aver siglato una convenzione con il Partito Democratico locale, che autorizzava 30 profughi a lavorare come volontari nelle cucine della Festa Reggio, cioè la Festa dell’Unità cittadina. “E’ una protesta incomprensibile – spiega il presidente della Dimora d’Abramo Luigi Codeluppi alla Gazzetta di Reggio – è la prima volta che qualcuno si lamenta dei pasti, che peraltro consumiamo anche noi quando siamo assieme ai rifugiati”.