Passare da Bertolaso a Marchini, da parte di Berlusconi, è stato un regalo a Renzi? Che lo dicano, per propaganda, Raggi, Meloni e Giachetti è comprensibile. Ma che lo sostengano giornali e osservatori politici appare assai avventato. Anche se il regalo fosse effettivamente nelle intenzioni berlusconiane o addirittura in un esplicito do ut des con Renzi, si tratterebbe di un regalo avvelenato. Non solo perché, a differenza di Marchini – e a parte l’ormai modesto apporto degli ultimi moicani del berlusconismo a Roma – l’ex-capo della protezione civile di suo non aveva, e non ha, un voto. Non solo perché Bertolaso non ha aspettato il breve tratto di questa campagna elettorale, percorso come candidato, per rivelarsi un formidabile gaffeur (“Grazie neve, per averci aiutato a capire che la Protezione Civile ci serve”, scrisse ad esempio sul proprio blog a proposito dell’ondata di gelo che aveva investito l’Italia determinando fra l’altro una sessantina di morti).
Non solo perché la scelta del Caimano, pur sdentato, a favore del “Ridge de noantri” mette effettivamente in ambasce Meloni e Salvini, isolandoli su posizioni di destra estrema, lepenista e “trumpista”. Non solo perché oppone, alla marcia inarrestabile della “cittadina” Raggi e al recupero sondaggistico di Giachetti e del Pd romano travolto da Mafia Capitale, quello che è stato sinora oggettivamente un marciatore solitario, “libero dai partiti” e unico, vero oppositore – insieme al movimento cinque stelle – degli amministratori che hanno aiutato e comunque non si sono accorti di Mafia Capitale…
Ma passare da Bertolaso a Marchini, da parte di Berlusconi, è stato tutt’altro che un regalo a Renzi soprattutto perché dell’imprenditore romano tutto si può dire fuorché sia o possa essere un docile strumento nelle mani o a disposizione di Berlusconi, delle sue trame revansciste o, peggio, del suo interesse a far regalie elettorali a Renzi per ottenerne in cambio regalie aziendali e/o affaristiche. Sia chiaro: intenzioni di tipo “verdiniano”, che non possono essere escluse, ci mancherebbe, ma che è altra cosa dal dire che l’appoggio a Marchini sia e sarà nei fatti un regalo a Renzi. Così come una cosa è prendere atto che sul Marchini “libero dai partiti” convergeranno Berlusconi e a quanto pare Storace, magari con proprie liste e simboli (si vedrà, comunque solo di appoggio alla “lista Marchini”), altra è dare per scontato che il civico Marchini si faccia fagocitare, diventi succube dei partiti e comunque si faccia trasferire di peso nel centrodestra o centro-destra.
Staremo a vedere. Peraltro a breve. Si vedrà da subito, dagli sviluppi della campagna elettorale di questi giorni, se Marchini confermerà la capacità di resistenza sinora messa in campo o se, per necessità, sarà costretto a capitolare. La partita è perlomeno aperta. Da un canto la capacità di fagocitazione dello sdentato Berlusconi, dell’isolato post-neo-fascista Storace e del redivivo Fini, che si aggiungono ai centristi alfaniani e fittiani e pare ai verdiniani. Dall’altro, a parte Corrado Passera, l’identità civica e laica di Marchini, la sua “libertà dai partiti” e la sua storia.
E qui vanno ricordate le risorse economiche personali e familiari che lo hanno aiutato notevolmente a rimanere (sinora) “libero”, insieme al nonno palazzinaro, partigiano e comunista, e al papà collezionista d’arte e presidente della Roma; le sue attività bancarie, finanziarie, manageriali e sportive (è stato capitano della nazionale italiana di polo); le sue precedenti esperienze politiche con Buttiglione, Violante, Cossiga e Amato, ma soprattutto con D’Alema. Marchini ne ha ospitato la fondazione nel proprio palazzo in largo Argentina e ne è stato supportato per divenire, a 29 anni (anche se solo per pochi mesi), consigliere di amministrazione della Rai. Poi, nel 2013, si è messo in proprio, ottenendo alle elezioni amministrative di quell’anno a Roma 114.169 voti, pari al 9,48%. E oggi i sondaggi dicono, anzi dicevano, prima ancora che Berlusconi decidesse di convergere su di lui, che con l’appoggio di Forza Italia Marchini potrebbe raggiungere il 23% delle preferenze e ottenere così il ballottaggio. Presumibilmente con Raggi, eliminando dalla corsa la “non sono mai stata fascista” Meloni e l’ultras renziano Giachetti. Un regalo a Renzi? Non sembra proprio.