La mano si avvicina a un rocchetto di filo metallico. Lo sfiora, lo afferra con sicurezza. Ogni falange misura la forza della presa, le dita si stringono attorno al piccolo oggetto con delicatezza ma con decisione. Eppure quelle dita non sono fatte di carne, quei tendini non sono di cartilagine. E’ una mano robotica. Un arto che in autonomia ha preso le misure, ha capito la forza da esercitare, ha portato a termine il movimento. Tutto questo succede in un laboratorio di Navacchio, in provincia di Pisa. Qui, dalle ceneri di una vecchia vetreria è sorto il Polo tecnologico, un sito che ospita più di 60 aziende rigorosamente hi-tech. Tra queste c’è QbRobotics, spin off dell’Università di Pisa e dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova. “Siamo nati per trasferire le conoscenze del mondo della ricerca in ambito industriale – spiega Fabio Bonomo, ceo di QbRobotics – Finora vendiamo più che altro ai centri di ricerca, ma abbiamo allacciato i primi contatti anche con le aziende. Le industrie sono molto prudenti prima di fare investimenti, ma una volta presa una strada, difficilmente cambiano idea”.
Secondo un rapporto presentato a Davos, all’ultimo meeting del World economic forum, entro il 2020 i robot si prenderanno 5 milioni di posti di lavoro prima occupati da altrettanti uomini in 15 Paesi del mondo. Ma è davvero così? Un gigante di ferro con le mani made in Navacchio ci ruberà il posto? “Quelle previsioni mi sembrano non scientificamente fondate – sostiene Antonio Bicchi, professore di robotica all’Università di Pisa e senior scientist all’Iit di Genova – Il futuro sono i robot collaborativi, che lavorano vicino, insieme alle persone. Il robot sarà un compagno di lavoro dell’operaio, non il suo sostituto”. Resta da capire in quali mansioni gli automi potranno dare una mano a noi uomini. “I robot collaborativi possono aiutare a sollevare un carico, a porgere un utensile, operazioni di bassa manovalanza che possono essere dannose per la persona – spiega il docente – Poi, l’altra grande area di sviluppo è la robotica di servizio, per esempio nell’assistenza a persone anziane e disabili. E qui non vedo prospettiva di sostituzione di forza lavoro. Il robot potrà aiutare la persona ad alzarsi dal letto e a camminare, ma non sostituirà la badante”.
Ma all’interno della comunità scientifica c’è anche chi invita a tenere alto il livello di guardia. “E’ difficile quantificare, ma direi che il 50% dei posti di lavoro nei prossimi 30 anni è messo a rischio dai progressi dell’intelligenza artificiale”. Bart Selman è professore di Computer science all’Università Cornell di Ithaca, nello stato di New York. Nel 2015, insieme ad altre centinaia di ricercatori, ha firmato una lettera aperta rivolta ai governi di tutto il mondo. Tra gli aderenti, anche il fisico inglese Stephen Hawking e l’imprenditore Elon Musk. I firmatari chiedevano di valutare le opportunità, ma anche i rischi, dell’evoluzione dell’intelligenza artificiale. Ora, il professor Selman sta lavorando a un progetto sulla super intelligenza artificiale: l’idea è capire se e quando si verificherà un sorpasso dell’intelligenza umana da parte delle macchine. “Probabilmente, l’intelligenza artificiale non eliminerà completamente i diversi tipi di lavoro – puntualizza il docente – ma permetterà ai dipendenti di svolgerli in modo più efficiente, portando a un numero sempre minore di personale necessario”.
L’esperto cita l’esempio dei magazzini di Amazon: “Qui si muovono migliaia di robot tra gli scaffali. Ci sarà ancora qualche magazziniere per gestire le squadre di robot, ma la forza lavoro umana è ridotta del 90%. Allo stesso modo, i sistemi di diagnosi medica non elimineranno la richiesta di radiologi, ma ridurranno significativamente il loro numero, perché la maggior parte delle diagnosi di routine possono essere fatte ugualmente, se non meglio, usando le macchine”.
Le paure, in effetti, non mancano. Tanto per cominciare, la diffusione degli automi nel mondo del lavoro continua la sua ascesa. “La robotica industriale è in notevolissima espansione – spiega Paolo Rocco, docente di automatica al Politecnico di Milano – Nel 2014, per esempio, sono stati venduti 230mila robot industriali con una crescita del 30% rispetto all’anno prima. E si prevede che sarà così anche per i prossimi anni”. In Cina si registra la prima fabbrica “deumanizzata”, dove gli operai di un’azienda di componenti per cellulari sono passati da 650 a 20, seguendo un programma industriale dal nome quanto mai esplicito: “Robot replace human“. Dagli Usa arriva il software Wordsmith Beta, già ribattezzato il robot-giornalista, pensato per generare articoli in automatico. La start up americana Starship Technologies si dice pronta a testare un robot-fattorino, che completi in autonomia le consegne a domicilio. Sempre negli Stati Uniti è nato Prospero, l’automa-contadino, dotato di sei zampe, che cammina lungo i campi e provvede alla semina.
Stavolta sono due possenti braccia a muoversi nell’aria. Con gesti lenti e quasi solenni, si posano su un recipiente vuoto, lo prendono, lo sollevano. Poi lo muovono e lo riappoggiano sul piano. Basta un quarto d’ora di macchina per raggiungere da Navacchio la facoltà d’ingegneria dell’Università di Pisa. Qui, all’ultimo piano, si aprono le porte del centro di ricerca Enrico Piaggio. Fiore all’occhiello dell’ateneo, da oltre 50 anni l’istituto si occupa di automazione, bioingegneria e robotica. Le grandi braccia che prendono e spostano oggetti sono una scena che presto potremo vedere in fabbrica. “In tutti i progetti di ricerca che portiamo avanti c’è sempre un partner industriale, interessato alla tecnologia che viene sviluppata – racconta Lucia Pallottino, docente di robotica all’Università di Pisa – Anche se in questo campo c’è ancora molto da lavorare. Abbiamo più rapporti con le industrie straniere: all’estero le aziende hanno anche i centri di ricerca, in Italia questa pratica è meno diffusa”. Ma i robot possono anche fare lavori che vanno al di là dell’impiego strettamente industriale. Tra i corridoi del Centro Piaggio è nato Walkman, quello che potremmo definire il robot-pompiere. Un metro e 85 di altezza, oltre cento chili di peso, anche Walkman è un progetto, ancora in divenire, concepito dalla sinergia tra Centro Piaggio e Istituto italiano di tecnologia. La sua mano, manco a dirlo, è lo stesso modello messo a punto da QbRobotics. “Comandato da remoto, Walkman è in grado di guidare un veicolo, camminare, aprire una porta, girare una valvola industriale, usare un trapano – prosegue Pallottino – E’ stato pensato per intervenire in situazioni di emergenza troppo pericolose per l’uomo, come nel caso di un allarme in una centrale nucleare”.
All’interno di una cella un robot si muove velocemente, muovendo il suo lungo braccio secondo traiettorie precise: un tecnico seduto davanti a un computer che ne controlla parametri e movimenti. Non siamo più in Toscana, ma in Lombardia. Più precisamente a Vittuone, in provincia di Milano, nello stabilimento di Abb spa. “Qui abbiamo anche un centro di test, training e manutenzione robot – spiega Michele Pedretti, business development manager robotics – I clienti possono venire a provare e testare le funzionalità dei nostri robot prima di realizzare l’applicazione industriale di cui hanno bisogno. Organizziamo anche corsi di formazione per la gestione dei nostri prodotti e ci occupiamo di curare la manutenzione ordinaria e straordinaria dei robot per i nostri clienti”. Abb è una società svizzero-svedese in prima linea nel settore dell’automazione che conta più di 250mila robot installati nelle aziende di tutto il mondo e oltre 8mila tra scienziati e ingegneri impegnati nella ricerca e sviluppo. Anche in questo caso, la nuova frontiera è la robotica collaborativa. “Abbiamo realizzato YuMi, il primo robot realmente collaborativo al mondo – racconta Pedretti – E’ un robot a due braccia che lavora insieme all’uomo. E’ usato nell’elettronica, nel settore farmaceutico, cosmetica e nell’assemblaggio di piccoli componenti in generale. Aiuta l’operatore nei compiti manuali ripetitivi, per esempio passandogli gli strumenti di lavoro o svolgendo azioni di assemblaggio”. YuMi è stato protagonista anche in Expo 2015. Qui, nell’area chiamata “Supermercato del futuro“, il robot afferrava una mela, la sollevava, la infilava in un sacchetto e la porgeva ai visitatori, il tutto in sicurezza e senza la necessità di barriere protettive. Forse troppo gentiluomo per essere uno spietato Hal 9000 pronto a rubarci il lavoro.