Claudia Bordoni aveva 36 anni ed era rimasta incinta grazie alla fecondazione assistita. La Procura raccoglie le cartelle cliniche dall'ospedale di Busto Arsizio, dal San Raffaele e dalla Mangiagalli
Sarà l’autopsia a dare le prime risposte sul caso di Claudia Bordoni, 36 anni, morta due giorni fa alla clinica Mangiagalli, a Milano, dov’era ricoverata per le complicazioni durante la gravidanza – arrivata al sesto mese – di due gemelle, che non sono sopravvissute. La Procura ha infatti aperto un’inchiesta per omicidio colposo e già nelle prossime ore potrebbe spedire una serie di avvisi di garanzia per verificare eventuali responsabilità dei medici. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha deciso di inviare gli ispettori negli ospedali che si sono occupati della donna nelle ultime due settimane: l’ospedale di Busto Arsizio, il San Raffaele e infine la Mangiagalli. Inchieste interne sono state aperte anche nelle tre strutture. La Regione Lombardia sta raccogliendo le prime informazioni, in base alle quali, tuttavia, “non sembra evidenziarsi alcun elemento collegabile a negligenze da parte della clinica che d’altronde è riconosciuta come “il più importante e qualificato punto nascita regionale”. Il San Raffarele, da parte sua, ha chiarito che “la dimissione” dall’ospedale “è avvenuta dopo aver accertato l’assenza di patologie generali e di natura ostetrica materno fetale”.
Ma la famiglia, come spiega l’avvocato Antonio Sala Della Cuna, “vuole sapere cosa realmente sia accaduto, se si sia trattato di una fatalità o esistano negligenze ed eventuali responsabilità”. Quello che è certo è che le complicazioni sono emerse durante la gravidanza ottenuta con la procreazione medica assistita, effettuata al San Raffaele. “Desiderava tanto diventare mamma – ha raccontato un’amica di infanzia – e dopo diversi tentativi di restare incinta andati a vuoto si era affidata alla tecnica della procreazione assistita”. Era felice, lo ripeteva al telefono ai genitori Adele e Giuliano, che vivono ancora a Grosio, e al fratello. Originaria di Grosio, paese della Valtellina in provincia di Sondrio, manager nel campo assicurativo, Claudia che viveva da anni a Milano con il compagno 40enne.
Era stata ricoverata per la prima volta dal 13 al 21 aprile, al San Raffaele, per complicazioni: si trattava di una gravidanza a rischio. Quattro giorni dopo era tornata al pronto soccorso dell’ospedale per dolori addominali. Il 26 aprile si è recata alla clinica Mangiagalli, dotata di strutture specializzate e dove esiste anche un reparto di terapia intensiva neonatale. In questo lungo periodo di ricoveri e accertamenti, tra l’altro, si era fatta visitare anche al pronto soccorso dell’ospedale di Busto Arsizio (in provincia di Varese). Giovedì la situazione è precipitata e Claudia è morta a causa di un’emorragia gastrica, almeno stando ai primi accertamenti. I medici hanno anche cercato di praticare un cesareo d’urgenza che però non è riuscito.
L’autopsia sarà fissata probabilmente a metà settimana. Prima il pm Maura Ripamonti dovrà acquisire le cartelle cliniche richieste ai tre ospedali. Dopo aver individuato i medici che hanno seguito il caso, avverrà l’iscrizione nel registro degli indagati di più persone. Un atto dovuto, quasi di prassi in casi di colpa medica, perché così medici e infermieri indagati possano nominare loro consulenti di parte che possano seguire gli esami autoptici.