"E’ stata la rottura del tubo a provocare la frana sul rio Penego e il conseguente sversamento del greggio diretto alla Iplom di Busalla". Così Alfonso Bellini anticipa a Ilfattoquotidiano.it i risultati delle sue analisi che indicano che fu lo scoppio dell'oleodotto la causa del disastro del 17 aprile che ha scaricato verso il mare 700 tonnellate di petrolio. Quel tratto di oleodotto segnalato dalla stessa Iplom nel 2013 tra i 23 punti critici. Resta il timore per gli effetti sull'ambiente
“E’ stata la rottura del tubo a provocare la frana sul rio Penego e il conseguente sversamento del greggio diretto alla Iplom di Busalla”. Alfonso Bellini è il perito nominato dalla procura della Repubblica di Genova per accertare le cause del disastro che il 17 aprile ha devastato la parte terminale del torrente Polcevera e dei rivi Penego e Fegino, scaricando verso il mare 700 tonnellate di petrolio diretti alla raffineria oltre Appennino. Bellini è un geologo e ha già effettuato alcuni sopralluoghi nella zona del disastro. Il suo giudizio è netto: non c’è stata alcuna frana all’origine dell’incidente, viceversa la frana caduta sul rio Penego (un affluente del rio Fegino che si getta nel Polcevera) è stata la conseguenza della rottura della tubazione della Iplom. “In quel punto l’oleodotto attraversa il rio Penego in senso perpendicolare al suo corso. La rottura si è verificata a una trentina di metri dalla salita che conduce al crinale sul quale corrono le tubazioni”.
Bellini anticipa al fattoquotidiano.it il contenuto della relazione che firmerà per il procuratore Franco Cozzi. Con una importante postilla: “Il tubo in questione ha un diametro di 40 centimetri e uno spessore di 8 millimetri. La sezione che è saltata presenta un’ampia rottura, circa settanta centimetri, nella parte inferiore (quella che poggiava a terra) . Lo spessore del tubo risulta dimezzato nel punto della rottura e l’assottigliamento della parete probabilmente è stato causato da due fenomeni, noti in questo genere di incidenti. La corrosione, provocata dagli agenti chimici contenuti nel greggio. E l’erosione, frutto dello smerigliamento prodotto dalla sabbietta contenuta nel greggio. Questo non è il mio campo specifico di indagine, se ne occuperà l’altro perito nominato dal procuratore Cozzi, l’ingegner Sandro Osvaldella che eseguirà tutti gli accertamenti e le analisi di carattere metallurgico e metallico”.
Bellini è un geologo esperto, ha ricevuto in questi stessi giorni l’incarico di effettuare perizie sulla frana che ha interrotto la statale Aurelia all’altezza di Arenzano. Conferma che la Iplom aveva individuato nel 2013 circa 25 punti critici lungo i 22 chilometri e mezzo dell’oleodotto che dal porto petroli di Multedo convoglia il greggio sbarcato dalle navi-cisterna alla raffineria di Busalla”. Anche in quei punti lo spessore dei tubi risulta assottigliato”, precisa Bellini. E tuttavia l’azienda non aveva assunto provvedimenti di sorta. Per questa ragione la Procura ha indagato il direttore della raffineria e il perito che aveva certificato lo stato delle conduttore nel 2013.
La bonifica in mare ha prodotto risultati discreti, alla vista almeno. Salvo alcune macchie di greggio subito riassorbite si sono notati in superficie alcuni strati di iridescenze, ossia velature di greggio che dovrebbero essere eliminate con facilità. Ma da qui a dire, come stanno tentando di fare le autorità politiche della regione, che l’emergenza è terminata e che non ci saranno problemi, purtroppo ce ne passa. Ne è convinto Andrea Agostini, vicepresidente del Circolo Nuova Ecologia di Legambiente Liguria. “Nessuno oggi è in grado si stabilire quanto greggio sia andato disperso e si sia depositato sui fondali marini”, dice Agostini a Ilfattoquotidiano.it. “Né è possibile accertare i danni prodotti alla vita animale e vegetale sul fondo del mare. Ricordate la petroliera Haven, affondata al largo di Arenzano nel 1991? Per anni si sono verificate le conseguenze dello sversamento in mare del greggio, sebbene la bonifica in quel caso fosse agevolata dal fatto che il punto dell’inquinamento era facilmente individuabile”.
Un altro aspetto preoccupa Agostini. La “salute” dei torrenti investiti dall’onda nera. “Per otto chilometri dalla linea di costa risalendo il corso del Polcevera e nei tratti terminali dei rivi Penego e Fegino la vita animale e vegetale è stata totalmente annientata. Uccelli di ogni specie (cormorani, anatre, germani, oche, aironi) ogni varietà di pesci, granchi di fiume, rane sono scomparsi. Altrettanto i caprioli e i cinghiali che scendevano ad abbeverarsi. Per ricostruire l’ecosistema devastato occorrono interventi radicali. Bisogna asportare un metro e mezzo di terreno dal letto del Polcevera, per un’ampiezza dai 3 ai 60 metri. Il greggio infatti è penetrato in profondità nel terreno e una pulizia superficiale non risolverebbe il problema. Una volta ripulito l’habitat si potranno reintrodurre animali e vegetali le specie estinte. Ma ci vorranno anni e parecchio denaro”.
Paradossalmente proprio la foce del Polcevera era stata individuata – su suggerimento dell’architetto Renzo Piano era stata inserita nel Puc entrato in vigore a dicembre – come il luogo ideale per creare un’oasi naturalistica con percorsi pedonali e per le biciclette e punti di osservazione della vita degli uccelli acquatici. La previsione di spesa era di un milione e 200mila euro che ovviamente non sono disponibili e che semmai si trovassero sarebbero ora destinati alla bonifica del torrente. L’assessore comunale alla Protezione Civile, Gianni Crivello dice al fattoquotidiano.it: “L’Iit (Istituto italiano di tecnologia) subito dopo l’incidente ci aveva proposto di analizzare le acque inquinate dei torrenti per individuare le “spugne” ideali per prosciugare il greggio separandolo dall’acqua. La soluzione c’è. Un materiale che, opportunamente trattato dai tecnici dell’Iit, è in grado di asportare la massima quantità di greggio, e poi può essere riutilizzato all’infinito. La Belfor, la ditta che per conto della Iplom sta procedendo alla bonifica delle acque dolci, ne ha ordinato mezzo quintale alla ditta che lo produce in Belgio e con quelle “spugne” interverrà sui torrenti che peraltro sono già stati in buona parte ripuliti dal petrolio”.