“Il sud sta morendo. Il sud è già morto. Nell’agenda di questo governo, il sud è stato affrontato con promesse politiche, con proclami, mentre nel mondo reale sono altre le forze che agiscono. Per capire il paese bisogna studiare le organizzazioni criminali approfonditamente”. È l’incipit di un pezzo molto interessante di Roberto Saviano su La Repubblica del 28 aprile. La pervasività dell’infiltrazione criminale, le promesse e i proclami politici per il Sud e la mancanza di interlocutori capaci hanno impedito, secondo Saviano, di pervenire a una visione organica e chiara del futuro del Mezzogiorno.
“E anche il governo di Matteo Renzi ha perso l’occasione, in questi due anni, di cambiare davvero. È dal sud che si cambia. E la questione che più sta inficiando la sua autorevolezza è proprio il fallimento della gestione del meridione, che Renzi conosce pochissimo: non ha interlocutori affidabili e quindi non può valutare il problema nella sua portata reale”. Prima la retorica leghistoide del “Sud piagnone”, poi i proclamati investimenti, con lo strascico di polemiche in Puglia: un caso da approfondire. Regione virtuosa nella spesa dei fondi europei ma inspiegabilmente soggetta a riduzioni nei finanziamenti comunitari pur avendo speso il 100% delle risorse della precedente programmazione, avendo presentato una dettagliata lista di opere da realizzarsi nei prossimi anni, e un parco progetti pronto da novembre, come illustrato sul CorMez.
Ricorda Saviano che la retorica del “Sud lamentoso”, in realtà, “è storicamente legata non a tutti i meridionali, ma a quella parte di notabili che puntava ad aumentare lo spazio del proprio privilegio e per farlo chiedeva una prebenda, in cambio della quale smetteva di lamentarsi: pronti a rifarlo quando serviva di nuovo mungere lo Stato”. Poi, accade anche altro: in uno scenario in cui, secondo Svimez, le regioni del sud presentano la peggior qualità della pubblica amministrazione, trovo davvero sorprendente che in molti comincino ad auspicare, anche da sud, la creazione di una macroregione meridionale. Parliamone.
Premesso che l’unico momento storico in cui si sia assistito a un’attenuazione del divario tra nord e sud è stato il primo quindicennio della Cassa del Mezzogiorno, con interventi da parte dell’amministrazione centrale in economia, mi riesce difficile immaginare che, con l’attuale scenario di politica, burocrazia, criminalità e scarsa partecipazione popolare, si possa immaginare un dignitoso futuro per la macroregione sud, lasciata al proprio destino inglorioso. In tutta umiltà, intravedo solo la realizzazione del sogno leghista. È abbastanza intuitivo che due forze di verso opposto non possano che allargare una ferita, anziché suturarla. Invero, spero di sbagliarmi.
Credo fermamente che, in mancanza di una diagnosi condivisa dei problemi del sud (e, quindi, di tutto il paese), difficilmente avremo la lucidità per proporre soluzioni credibili ed efficaci. Bisognerebbe puntare su altri soggetti, invece di dar sfogo alla smania italica di cambiare continuamente nome alle cose e spostare confini, lasciando la sostanza gattopardescamente invariata. Cito, ancora, Saviano: “A Sud ci sono persone in politica, da esponenti Pd a Cinque Stelle a Sel, che non vedono l’ora di potersi prendere la responsabilità, di indicare un progetto nuovo: ma vengono lasciati al margine”.