A cento giorni dall’inizio delle Olimpiadi, la situazione della sicurezza in città appare compromessa: la sola polizia è stata responsabile tra il 15 e il 20% degli omicidi. Lo stato di Rio è praticamente in default: il pagamento degli stipendi è in ritardo, 1.500 agenti hanno smesso di pattugliare le strade. E tutto intorno esplode la violenza con sparatorie continue, rapine e omicidi che costringono a indire il coprifuoco in interi quartieri
Doveva essere il piano rivoluzionario in grado di dare l’immagine del pieno controllo da parte dello Stato del territorio delle favelas. Necessario per trasmettere quella sensazione di sicurezza utile a fornire garanzie al Comitato Olimpico Internazionale e alle delegazioni di atleti provenienti da tutto il mondo. Messo in campo in vista delle Olimpiadi, il progetto di pacificazione delle favelas carioca con la Upp (Unidade de Policia Pacificadora), rischia però di implodere proprio a ridosso dell’appuntamento più importante. Tra caos politico e pesante crisi economica, le Olimpiadi non potevano capitare in un momento peggiore.
A cento giorni dall’inizio dei giochi di Rio2016, la situazione della sicurezza in città appare compromessa. Nel solo mese di marzo nello Stato di Rio ci sono stati 441 omicidi. Un aumento del 15,4% in relazione allo stesso mese del 2015. La sola polizia è stata responsabile tra il 15 e il 20% del totale di omicidi commessi a Rio de Janeiro. Violenza istituzionale, secondo Amnesty International, in crescita del 54% negli ultimi due anni. Nelle ultime settimane le cose sono peggiorate.
In moltissime favelas pacificate della capitale, si sono registrate sparatorie e morti. Non più solo nelle comunità lontane dal centro, ma anche in quelle prossime alla zona sud, più tutelata della città e a ridosso delle aree dove si svolgeranno gare olimpiche. Lunedì un uomo è stato ucciso in un conflitto a fuoco nella favela di Mangueira, giusto di fronte allo stadio Maracanã. Sparatorie si sono registrate in settimana a Jacarezinho, Morro dos Macacos e Coroa. Tenere il conto dei singoli eventi è impossibile, anche perché i dati statistici ufficiali vengono diffusi sempre con maggior parsimonia, per evitare allarmismi. Il trend è però ben definito da oltre un anno.
Episodi dal forte valore simbolico si sono registrati in questo lasso di tempo nella favela di Santa Marta, scelta come laboratorio nel 2008 e ritenuta esempio positivo. Dall’inizio del processo di pacificazione infatti, mai più c’era stata lì una sparatoria. Fino a maggio 2015 quando una pattuglia è finita nel mirino. Meno di un anno dopo, il 5 marzo scorso, si è registrato il primo omicidio. Così, il modello di pacificazione della UPP si è sgretolato nella favela modello. Una comunità che insieme ad alcune altre aveva visto un miglioramento degli standard di vita e un rivitalizzazione con anche un rilancio turistico durante gli anni buoni. Progressi ora tutti cancellati. A Chapéu Mangueira/Babilônia, fino a poco fa caso felice soprattutto per i flussi turistici ricevuti negli anni, ci sono stati tre omicidi in appena tre giorni lo scorso marzo. Le sparatorie continue con armi da guerra sono tornate ad agitare così il sonno dei residenti della favela e dei vicinissimi palazzi di Copacabana.
La situazione è delicata in ormai tutte le favelas pacificate. Delle 38 UPP costituite a Rio, nel 2015 in almeno 31 si sono registrati conflitti tra criminali e poliziotti o attacchi alle sedi della polizia. Nel Complexo do Alemão, dove la quotidianità è minata dalle continue sparatorie, la routine di guerra ha costretto i residenti a rimanere chiusi in casa 190 giorni su 232 nel corso dei primi 8 mesi del 2015. I primi a essersi resi conto della difficoltà economiche e militari delle strutture della sicurezza sono stati infatti i trafficanti che, dopo alcuni anni in inferiorità, si sono ora riorganizzati riprendendo una guerra mai vinta dallo Stato, e segnando una serie di vittorie. La presenza dei criminali è tornata pressante in ormai tutte le favelas. Costringendo la polizia a ritirarsi da alcuni avamposti conquistati nel corso degli anni.
Dopo l’università, non più in grado di garantire il pagamento degli stipendi dei professori e lo svolgimento regolare delle lezioni. Dopo gli ospedali, costretti a chiudere più volte o tirare avanti senza medicine e attrezzature già alla fine dello scorso anno, la crisi economica dello Stato di Rio si è infatti abbattuta anche sulla sicurezza. Tanto da mettere a rischio oltre alla gestione del processo di pacificazione delle favelas, la stessa tenuta dell’ordine pubblico durante le olimpiadi.
La segreteria di pubblica sicurezza dello Stato, è stata costretta a elaborare un piano di spending review che prevederebbe un taglio sul proprio budget del 32%. Effetti negativi in termini di pacificazione ‘olimpica’, si sono già avuti sull’area di Marè. Il complesso composto da 16 favelas sviluppate a cavallo tra le due principali vie di accesso al centro della città dall’aeroporto internazionale, dopo un tentativo mal riuscito, non sarà più pacificato. Il passaggio obbligato per i circa 10mila atleti olimpici provenienti da 206 paesi del mondo e per le migliaia di turisti sarà sguarnito.
Un documento diffuso dalla segreteria di pubblica sicurezza negli ultimi giorni, mostra che a causa della crisi, allo Stato sono rimasti appena 413mila real (100mila euro) da investire nella formazione dei poliziotti. Soldati che tra l’altro ancora non hanno ricevuto fino a 13 mila real di arretrati a testa, relativi agli straordinari dei primi 6 mesi del 2015. I poliziotti sanno già che non riceveranno più il pagamento degli straordinari. Per questo in molti hanno ritirato la propria disponibilità al lavoro fuori orario. Già in 1500 hanno smesso di pattugliare le strade. In prospettiva olimpica il quadro è decisamente drammatico. Durante l’evento internazionale, quando maggiore sarà la necessità, per strada potrebbero esserci pochi poliziotti. E solo l’intervento delle forze armate potrebbe garantire la sopravvivenza.
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