E’ una strana e intricata storia quella dell’arcipelago di La Maddalena e del suo parco, istituito il 17 maggio del 1996, e coincidente con il territorio comunale, che amministrativamente però non ha competenza e potere decisionale, spettanti prevalentemente al ministero dell’Ambiente. Lo stesso ministero che nominò nel 2006 come presidente Giuseppe Bonanno, tutt’ora in carica ed ecologista integrale, in perenne lotta con gli altri membri del consiglio. Strana storia perché nell’arcipelago coesistono due realtà ambientali: la prima, nel capoluogo La Maddalena, con le opere pubbliche faraoniche, molte di queste incompiute o già fatiscenti, volute da Bertolaso e le sue archistar, costate (ed inutilizzate) circa 400 milioni di euro; la seconda è una piccola isola, 1,7 km², assolutamente privata, sulla quale vigono le norme tra le più restrittive e severe d’Italia: prima come Tb (Riserva generale), ora proposta come Ta (Riserva integrale).
Dopo il fallimento dell’immobiliare Gallura srl, che l’aveva acquistata, il tribunale di Tempio aggiudicò, dopo asta pubblica, l’isola allo stravagante Ceo della Barclays, sedicente appassionato di isole incontaminate ed ecologista. Del progetto di Michael Harte, l’eccentrico proprietario, poco si sa e poco ne sanno i membri del consiglio; da una parte un approccio non formale della normativa italiana, assenza di un master plan o progetto di fattibilità, ma solo render approssimativi, dall’altra una diffidenza ed un pregiudizio totale sulle reali intenzioni del magnate neozelandese, impegnato a creare nell’isola un centro di ricerca per le biodiversità, unico al mondo.
Come recita però la sentenza del Consiglio di Stato n. 1854/2015:”L’appartenenza alla proprietà privata ha comunque sempre comportato l’applicazione delle norme che nel tempo hanno preservato i valori ambientali e paesaggistici dell’isola e che rimangono in vigore nella loro interezza indipendentemente dall’esercizio della prelazione da parte dell’Ente parco, dato che la tutela prescinde dalla titolarità della proprietà e dal relativo regime, pubblico o privato che sia. Tali norme di tutela sono contenute, oltre che nel d.p.r. 17 maggio 1996, nella stessa legge quadro sulle aree protette, n. 394 del 1991 e nella legge n. 10 del 1994, nei provvedimenti che configurano il regime dei pesanti vincoli paesaggistici, ambientali e idrogeologici (che, tra l’altro, impediscono lo sbarco se non su indicazione delle guide dell’Ente, il transito su buona parte delle spiagge e l’accesso all’arenile“.
Quindi, qualunque privato volesse acquistare l’isola, dovrebbe sottostare alle rigide regole di salvaguardia e di inedificabilità e sottoporre il suo progetto ai vari organismi di tutela. Non del tutto rassegnati all’idea molti isolani, primo fra tutti il guardiano, che quell’unico privato venuto da lontano potesse finalmente, influire positivamente (ed economicamente) sul destino di un’isoletta bramata solo a parole ma nei fatti dimenticata da tutti. Non ha giovato la conflittualità permanente nel consiglio direttivo, causata dalla componente più integralista, rappresentata dal presidente, teso a elevare a livello massimo la tutela da Tb a Ta, vietando di fatto ogni permanenza umana sull’isola e l’altra componente, seppur ecologista ma possibilista nel pensare ad una sorvegliata e monitorata attenzione alla “pressione antropica”.
Pressione che si manifesta, specie d’estate, sulla spiaggia del Cavaliere con lo sversamento di gruppi di centinaia di turisti da imbarcazioni di ogni genere. Turisti non tutti rispettosi della natura e ai quali purtroppo non si riesce del tutto ad impedire, nonostante il lodevole impegno delle guardie del parco, ogni genere di nefandezza, dall’abbandono di cartacce, lattine, plastica e rifiuti organici umani (nell’isola mancano totalmente servizi igienici). Del resto gli isolani, anche i componenti del parco, non intendono rinunciare alla vocazione turistica in tutte le isole dell’arcipelago, turismo che rappresenta la più importante voce economica per il territorio che tanto incontaminato non è; per lo meno per le opere pubbliche già citate, cui non sembra sia stata fatta una altrettanto vivace campagna di opposizione.
Viceversa proposte di un turismo sostenibile, recupero delle piccolissime ma significative strutture ex militari con i materiali autoctoni, sentieri sospesi per non danneggiare la flora, percorsi vita con utilizzo di materiali naturali e congruenti e soprattutto una disciplina ferrea ed un controllo degli accessi, oltre un minor uso dei natanti da diporto, potrebbero essere una soluzione ottimale per preservare la natura e l’economia dell’isola. Economia in gravi difficoltà tanto da far rifiutare al direttivo del parco, dopo la rinuncia del magnate Harte, all’assegnazione decisa (e il 17 aprile sospesa), dal tribunale di Tempio del diritto di prelazione e gestione di Budelli, la cui decisione definitiva avverrà il 17 maggio, esattamente vent’anni dopo l’istituzione del Parco. Una vicenda che purtroppo non è destinata a concludersi positivamente se non si porrà come base il principio che privato o pubblico che sia, il rispetto della natura e della bellezza non deve mutare, e chiunque siano i fruitori principali, Stato, banchieri o associazioni devono attenersi a quelle regole di attenzione alla salvaguardia attiva con il recupero dell’esistente per far coesistere armonicamente uomo e natura.