Di Simone Vacatello, direttore editoriale di Crampi Sportivi
Tra le tante foto di squadra che ho sfogliato, da appassionato di calcio, quella che mi ha più colpito è una foto natalizia, che ritrae una decina scarsa di uomini sulla sessantina, abbracciati e sorridenti con le panze in bella vista e un albero di Natale spoglio alle spalle. Si tratta di una foto che non dice niente a chiunque abbia meno di quarant’anni e non sia calabrese, se non fosse per la presenza di Claudio Ranieri, l’eroe del giorno e dell’anno. Un quattordicenne di Vercelli può vederla e immaginare si tratti dei postumi di una tombolata con gli amici del paesello. In qualche modo, è vero, si tratta di persone che si sono conosciute al paesello, si tratta dell’ossatura della squadra del Catanzaro di cui l’allenatore del Leicester fu anche capitano, oltre che baluardo della difesa, per otto anni, di cui ben sette di Serie A.
Per una regione intera si trattò della prima striscia temporale continuativa in cui chiunque, dalla Sila allo Stretto, volendo avrebbe potuto ammirare le gesta dei campioni della Juventus, dell’Inter e del Milan recandosi al Comunale di Catanzaro, oggi ‘Nicola Ceravolo’, in onore al presidente che per quei sessantenni fu come un secondo padre. Non a caso ancora oggi questo manipolo di sessantenni passa regolarmente insieme sia le vacanze di Natale che parte di quelle estive, ottimo metodo per schivare le suocere. Pellizzaro, Vichi, Braca, Silipo, Banelli, e il grande O’Rey, Massimo Palanca, quello che segnava direttamente da calcio d’angolo. E, tra loro, Claudio Ranieri, novello Max Pezzali che nonostante abbia girato il mondo intero, dalla Grecia alla Spagna passando per Francia e Inghilterra, quando c’è da staccare la spina torna dai suoi amici del baretto, il suo personalissimo baretto, quello che gli valse la prima serie A da protagonista. Non la prima in assoluto, ma la prima da protagonista, gli anni migliori da atleta.
Fin qui sembra l’ennesima storia di pallone e provincia buttata lì per strappare qualche lacrima, per piagnucolare sul calcio di prima che non tornerà più, e per sbalordirci di come, nonostante Ranieri sia uno degli allenatori più importanti sulla piazza, non se la tiri affatto. In realtà si tratta di un modo per raccontare l’artefice del successo delle Foxes per quella che è la sua ricerca della semplicità fuori dalle grinfie della retorica: La storia del Leicester, figlia di quella cocciuta semplicità, pianta le sue radici, per ammissione stessa di Ranieri che proprio sotto Natale paragonava il suo team attuale al suo Catanzaro, nello stesso terreno in cui sono germogliati i suoi più cari legami sportivi, divenuti poi affettivi in senso stretto, quasi famigliare. Ranieri è un uomo abitudinario, che sa tornare indietro, che vive di elementi che si ripetono e ritornano, di percorsi lineari e passaggi obbligati, e spesso questo avviene anche al di fuori dalla sua volontà.
Prendete Genoa-Roma, la partita che se fossi Christopher Nolan prenderei necessariamente in considerazione qualora decidessi di dedicare all’allenatore romano una trilogia cinematografica. In tre passaggi temporali diversi, legati alla stessa partita, c’è tutta la parabola ranieriana: esordio in Serie A con la maglia della Roma, la sua squadra del cuore (e giallorossa come il Catanzaro) nel novembre del ‘73, esonero da allenatore della Roma nel 2011 dopo una dolorosissima sconfitta e a meno di un anno da uno scudetto sfiorato, e vittoria del suo primo titolo nazionale nel giorno stesso dell’ultimo confronto tra la sua Roma e il suo Genoa.
Il rapporto di Ranieri con l’eterno ritorno prende forme diverse ma tutto sommato lineari tra loro. Ora per essere sicuri di non aver avuto torto ci mettiamo seduti ad aspettare la foto dei giocatori del Leicester tra trent’anni, gli stessi che Ranieri ha portato al successo, gli stessi che hanno perfezionato e reso immortale quello spirito di squadra che aveva il Catanzaro che conquistò la Serie A, e che ha contribuito a rendere il loro allenatore l’uomo che è oggi.
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