di Sandro Zagatti
Negli anni in cui Andreotti dominava la politica nazionale, la stampa libera puntava il dito contro le sue discutibili frequentazioni: Lima, Gioia, Ciancimino, i fratelli Salvo. Si scriveva che Cosa nostra e politica andavano d’accordo grazie alla mediazione del divo Giulio.
In quegli anni la politica poteva permettersi di non rispondere perché l’esposizione televisiva e giornalistica era assai minore. Toccava alla stampa allineata replicare alle accuse di collusione, e la formula era sempre la stessa: “Nessuna sentenza ha stabilito che Andreotti è mafioso, quindi le accuse che gli vengono mosse sono infondate. Menzogne diffuse a scopi propagandistici”.
Nelle forme cui ci ha abituato il renzismo, questo stesso argomento entra ora nel bagaglio comunicativo del presidente del Consiglio, che rinvia alla definizione delle sentenze la lotta alla criminalità organizzata. Con le poche battute pronunciate da Matteo Renzi in occasione dell’anniversario dell’omicidio di Pio La Torre, la politica nazionale torna indietro ad almeno venti anni fa. Quando, seppur parzialmente, entrò nel sentimento comune la consapevolezza che il contrasto alla mafia deve avvenire sul piano politico, sociale, e soprattutto economico. “Follow the money” diceva Giovanni Falcone e, come spiegò mirabilmente Paolo Borsellino, la Magistratura opera un accertamento giudiziale, ancorato a parametri di certezza che richiedono tempi e strumenti incompatibili con un adeguato contrasto del controllo mafioso sulla società.
Dovrebbe essere chiaro a tutti che una sentenza di mafia colpisce il mafioso ormai innocuo, già bruciato dal suo stesso ambiente e sostituito da altri, mentre la devastazione del tessuto economico-sociale non subisce battute d’arresto. Perché, per usare ancora le parole di Paolo Borsellino, mafia e Stato hanno interessi e funzioni sovrapposte, e, quindi, o si fanno la guerra o si accordano. Lasciare la guerra ai soli Magistrati (che oltre le sentenze non possono andare) ha avuto l’effetto che sappiamo: morti Falcone e Borsellino, le organizzazioni criminali hanno penetrato il tessuto economico nazionale, impadronendosi di fette sempre più ampie di territorio.
I poteri che proteggono Matteo Renzi vogliono un paese assuefatto alla compenetrazione fra economia legale ed illegale, al ricorso a capitali riciclati per lo “sviluppo”, alla resa di fronte al potere delle famiglie mafiose, delle cosche camorristiche e delle ‘ndrine.
Alla Repubblica fondata sul lavoro è subentrata l’Italia fondata sul profitto, e poiché le attività illecite sono quelle a maggior profitto, è naturale aprire le porte dell’economia alle organizzazioni criminali.
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