Nel teatrino italiano su questione Lgbt e politica, colpisce il sottobosco di dichiarazioni e botta e risposta che caratterizzano il dialogo tra personaggi più o meno noti, a livello collettivo, e sicuramente ben conosciuti dentro la gay community. Mi sono imbattuto, stamane, nel profilo di Monica Cirinnà che retwittava un altro utente, che a sua volta rispondeva ad Arturo Scotto, presidente del gruppo di Sinistra Italiana alla Camera.
La colpa di Scotto è quella di aver osato dire (non sia mai!) che Renzi imporrà la fiducia sul ddl per evidente debolezza politica. Fatto che non dovrebbe rappresentare nemmeno una notizia: il Pd, infatti, al Senato non aveva la maggioranza per approvarlo e, dopo il dietrofront del M5S, si è dovuto piegare alla volontà di Ncd, prima facendo fuori i diritti dei bambini e delle bambine delle famiglie arcobaleno e poi approvando una legge monca e assolutamente insufficiente (nel merito e nel metodo in cui si è arrivati alla sua formulazione) accompagnata dagli insulti finali di Alfano contro gay e lesbiche. E questa è storia.
Iscriviamo il compagno Scotto al gruppo di quelli che la legge sulle #unionicivili la vogliono solo a parole. https://t.co/BhNhawxuUn
— Francesco Nicodemo (@fnicodemo) 2 maggio 2016
Le reazioni al tweet del parlamentare sono state varie: «Iscriviamo il compagno Scotto al gruppo di quelli che la legge sulle #unionicivili la vogliono solo a parole» tuona Francesco Nicodemo, responsabile della comunicazione del Pd. «Arturo hai seguito dibattito al Senato? I grillini hanno tradito!» gli fa eco Aurelio Mancuso, ex presidente di Arcigay e ora dentro il partito. E anche la rete incalza: «Fiducia necessaria: se Ddl tornasse a Senato e a referendum di ottobre malauguratamente vincesse il No, addio #unionicivili», scrive il twittero Angelerrimo, già condiviso proprio da Cirinnà. E potremmo andare avanti ancora.
Credo, tuttavia, che si sia perso di vista il cuore politico della questione. E aggiungo quanto segue: sono dell’idea che il ddl sulle unioni civili debba arrivare fino in fondo. È un testo manchevole e offensivo (l’ha fatto il Pd, d’altronde), ma la battaglia culturale che si è innescata intorno ad esso semplifica il dibattito sulla domanda: “diritti gay” sì o no? E va da sé che se si dovesse fallire, ci andrebbe di mezzo un’intera comunità. Poi possiamo parlare del perché e del come per arrivare a questa legge, il palazzo ha deciso di fare un testo discriminatorio e parte della comunità ha deciso di sacrificarne un’altra, ma queste cose, al momento, purtroppo interessano poco il cittadino medio. A livello globale, infatti, deve passare il discorso “diritti gay” sì. Da lì si può riprendere la battaglia in una situazione di non arretramento formale (per quanto nei fatti la legge sia un apartheid giuridico).
Detto ciò anche il dibattito sulle unioni civili si è ridotto, da quello che vedo, a tifo per o contro Renzi. Poi va benissimo ostacolare un premier che sta riberlusconizzando l’Italia, ma pretendere che il testo si modifichi alla Camera per farlo tornare al Senato significa farlo morire (e in questo hanno ragione quelli del Pd), mentre è diritto dell’opposizione votare no alla fiducia (cosa che i Mancuso, i Nicodemo e le Cirinnà del caso non hanno ancora interiorizzato nella loro cultura, per così dire, democratica). Con la fiducia, il testo passa. Con questo governo almeno. È possibile quindi per la sinistra parlamentare votare no. Che non significa essere contro i diritti civili, ma contro un certo modo di fare politica. È democrazia anche questa, piaccia o meno.
Riporto in merito al discorso una dichiarazione di Michela Marzano, in un’intervista a Repubblica di oggi, proprio sul ddl che verrà votato a breve alla Camera dei Deputati: «Avevamo rassicurato le famiglie arcobaleno che non avremmo modificato il testo base, stepchild compresa. Questa legge resta un passo avanti, infatti la voterò. Poi andrò via. Si fossero almeno evitati i toni trionfalistici. Se non avessero parlato di svolta storica, magari ci avrei ripensato. E invece nulla». Mi sembra la posizione più equilibrata (non si tradisce il senso della propria militanza), intellettualmente onesta e coerente. A tale proposito va anche ricordato che Monica Cirinnà in persona aveva promesso di fare la stessa cosa, se fossero state tolte le tutele all’omogenitorialità. Salvo ripensarci ventiquattro ore dopo. In questo tipo di fatti si può segnare la distinzione tra la serietà e la politica. Ahinoi, aggiungo.
Concludo ricordando ai signori di cui sopra, quelli che il testo sulle unioni civili lo vogliono davvero, che proprio alla Camera è l’alleato di governo (che la fiducia dovrebbe votarla) a tossire ancora contro il ddl in questione. Il partito di Alfano esige il divieto contro la Gpa, o non voterà il testo (si legge ancora su Repubblica di oggi), minaccia peraltro riproposta da Lupi a L’aria che tira. Nicodemo, Cirinnà e Mancuso in buona sostanza farebbero meglio a preoccuparsi degli alleati con cui si “concederanno” finalmente diritti ai gay e alle lesbiche di questo paese – tra qualche discriminazione e molti insulti – invece di dire all’opposizione come deve fare il suo lavoro.