Un figlio dovrebbe nascere da un desiderio condiviso! Ognuno di noi può sperimentarlo o meno nel corso della vita, ma se lo proviamo, la sua intensità aumenterà con la difficoltà di poterlo ottenere. I desideri, a meno che non portino svantaggi per altri o per se stessi, dovrebbero essere incoraggiati e sostenuti. Nel caso di un concepimento i possibili svantaggi potrebbero riguardare l’impossibilità di offrire a un figlio condizioni esistenziali minimamente adeguate. Questa valutazione è in realtà estremamente difficile da effettuare, sia sul piano speculativo che concreto, ed è influenzata dalla cultura di appartenenza e dalla personalità più o meno consapevole degli interessati. Solo nei casi di gravi inadempienze un giudice, se ravvisa che il bimbo sia messo in qualche modo gravemente a rischio, può togliere ai genitori la potestà sul figlio.
E’ giusto quindi che questi stessi principi debbano valere anche per le coppie omosessuali, con un po’ di attenzione alle comparazioni che i figli potrebbero fare verso i compagni che hanno come figure di riferimento un padre e una madre, ma questo è vero anche per i figli di coppie adottive, separate, ricostruite, single o con padri molto anziani. Tuttavia, nella foga di portare avanti una battaglia ideale, si sono forse trascurati alcuni possibili scenari di conflitto che meritano, a mio avviso, di essere menzionati. Mi limito ad accennare all’esperienza della gravidanza, parte integrante della genitorialità, e al senso di trasmissione genetica che fa vivere il legame biologico come qualcosa di cui ci si sente orgogliosamente l’origine e che ci proietta nel futuro donandoci una sorta d’immortalità, che viene a volte preso come prova che quel figlio è “proprio mio, sangue del mio sangue”.
In una coppia formata da due donne, una delle due compagne, con l’aiuto della Procreazione Medicalmente Assistita (Pma), può fare l’esperienza della gestazione, ma, contrariamente alle coppie eterosessuali dove l’evoluzione ha assegnato compiti e ruoli diversi al maschio e alla femmina, in questi casi si potrebbe aprire un conflitto su chi possa avere l’onore/onere di gestire la gravidanza anche perché, a meno che non si ponga l’ovulo di una nell’utero dell’altra alla ricerca di una ingegneristica par condicio, il codice genetico del figlio apparterrebbe alla madre gestante. Gli uomini gay si vedono negata dalla natura l’esperienza della gestazione e la possibile trasmissione genetica, a meno di non ricorrere ad una gestazione tramite altri, che personalmente non riesco a vedere come “atto di amore”, come alcuni ipotizzano, ma come triste sacrificio non immune dai rischi che una gravidanza e un parto possono rappresentare, in cambio di un vantaggio economico.
Mentre le coppie eterosessuali, a meno che non si sia fatto ricorso alla fecondazione eterologa, hanno nel figlio una simmetria genetica, dal momento che il genoma andrà attribuito al cinquanta per cento ad ognuno dei genitori, le coppie omosessuali, se ricercano una appartenenza genetica, dovranno necessariamente condividerla con uno sconosciuto. Che l’asimmetria genetica possa diventare uno scenario di conflitto si può arguire dall’estrema fatica e dai notevoli sacrifici che molte coppie fanno per conquistare una trasmissione genetica da parte di un membro della coppia lasciando l’altro geneticamente estraneo e potenzialmente, nella fantasia della coppia, un po’ meno genitore. Nodi che in momenti di crisi possono diventare rilevanti, non a caso i coniugi eterosessuali conflittuali tendono a rinfacciarsi ciò che “non va” del proprio figlio come frutto del codice genetico del proprio partner e di tutta la sua famiglia.