Ventotto voti a favore, ventiquattro contrari e due considerati non validi. Nella serata di martedì 3 maggio, i membri dell’Uefa hanno deciso: il Kosovo è il 55esimo membro della European Football Association. Da oggi, i club del più giovane stato d’Europa, autoproclamatosi indipendente nel 2008 e nato tra le braccia dei Balcani, potranno partecipare alle competizioni europee. Una decisione sportiva ma dal grande valore politico che ha trovato l’opposizione, prima di tutti, della confinante Serbia che ancora oggi rivendica il controllo sui territori di quella che è l’ex provincia serba di Kosovo e Metohija. “Da oggi – ha dichiarato il Presidente kosovaro, Hashim Thaçi, assisteremo ad alcune vittorie e ad alcune sconfitte, ma nessuno potrà più impedirci di entrare in campo”.
Già dalla prossima fase di qualificazione a Champions League ed Europa League, quindi, anche le squadre italiane potrebbero trovarsi di fronte squadre come il Feronikeli, attualmente prima in classifica, o il club più titolato del Paese, il Prishtina. “Il Kosovo in Uefa! Questa è la notizia più bella per i numerosi tifosi presenti nel nostro Paese”, ha esultato Thaçi una volta venuto a conoscenza della decisione. Un voto che apre le porte a un altro grande obiettivo della Federazione calcistica kosovara: la partecipazione alle qualificazioni per i Mondiali di calcio di Russia 2018.
La Nazionale di calcio del Kosovo è nata appena due ani fa, nel 2014, ma già aspira ai campionati ufficiali. È per questo che, la prossima settimana, i membri della Federazione depositeranno la richiesta ufficiale alla Fifa per l’entrata della selezione nel gruppo di nazioni che possono partecipare alle competizioni ufficiali. Un altro passo fondamentale per far sì che il Kosovo possa lentamente affacciarsi alle porte dell’Europa.
Anche se il voto espresso martedì 3 maggio a Budapest dal Congresso dell’Uefa si limita all’aspetto sportivo, è innegabile il forte valore politico della decisione. Come la maggior parte dei Paesi dei Balcani, anche il Kosovo ha avviato il processo di adesione all’Unione Europea. Processo, però, che ha nelle tensioni con la vicina Serbia, che ancora oggi rivendica il controllo su quei territori, l’ostacolo maggiore da superare. I numerosi colloqui tra Pristina e Belgrado non sono riusciti ad eliminare l’odio tra i popoli delle due etnie che, in alcune parti del Paese, soprattutto nell’area che dalla città di Mitrovica si estende verso il confine nord con la Serbia, si trovano ancora oggi in una convivenza forzata. Un odio che risale ai tempi della guerra del Kosovo tra esercito e paramilitari serbi e l’Esercito di Liberazione del Kosovo (Uck) e che non si è ancora placato, soprattutto all’interno delle frange più nazionaliste nel Paese.
È per questo motivo che proprio la Serbia si è opposta duramente perché il voto del Congresso Uefa non desse l’ok all’entrata del piccolo Stato, grande quanto l’Umbria, nell’Unione calcistica europea. Una decisione che, fanno sapere da Belgrado, può portare a disordini e violenze come quelle a cui si è assistito nel corso del match di qualificazione a Euro 2016 tra Serbia e Albania, il 14 ottobre 2014, quando la partita è stata sospesa a causa di scontri nati dopo l’“invasione” di campo di un drone attaccato al quale sventolava la bandiera della Grande Albania. “Questa – ha dichiarato il presidente della federazione serba, Tomislav Karadzic, è una proposta politica e non sportiva. Siamo di fronte a una dura prova e dobbiamo dire no a divisioni che possono rivelarsi dannose. Il ‘sì’ creerebbe tumulti e scoperchierebbe il vaso di Pandora che destabilizzerebbe l’intera Europa”.