Nel rapporto sul sistema di accoglienza dei richiedenti asilo a Milano e provincia l'analisi delle 53 strutture gestite nel milanese: identici fondi, ma diversi servizi tra un ente gestore e l'altro. Più spesso a mancare sono supporto psicologico e pocket money. Ma nel rapporto sono evidenziati anche i casi di chi è costretto a mangiare in camera e i gestori che non hanno voluto mostrare le proprie strutture
Sono obbligati a mangiare in camera e non hanno mai frequentato lezioni di italiano. Altri richiedenti asilo – ovvero persone che non sono venute in Italia per motivi economiche ma sono scappate da persecuzioni per motivi di razza, religione o opinioni politiche – hanno rinunciato a curarsi visto che nella struttura si trova un solo medico per 600 ospiti o non hanno mai ricevuto il pocket money obbligatorio di 2,5 euro al giorno. Eppure ci sono anche realtà, a Milano e provincia, dove l’accoglienza non solo funziona, ma si declina in corsi di italiani giornalieri, assistenza sanitaria e un contributo di 5 euro al giorno, il doppio rispetto a quello previsto per legge. Centri di accoglienza con offerte radicalmente diverse ma che ricevono gli stessi finanziamenti, ovvero 35 euro al giorno per persona accolta. “I fondi incassati sono gli stessi ma i servizi offerti in alcuni casi non possono neppure essere paragonati”, racconta Emilia Bitozzi che per il Naga – associazione per i diritti di cittadini stranieri – ha curato il rapporto (Ben)venuti! Indagine sul sistema di accoglienza dei richiedenti asilo a Milano e provincia”. “Ci sono cooperative che vedono l’accoglienza come un puro business e quindi vanno al risparmio”, continua Bitozzi spiegando come sono gli stessi ospiti a segnalare enti che eliminano servizi obbligatori per legge.
Stessi finanziamenti, diversi servizi offerti
Al centro dell’indagine del Naga 2.467 richiedenti asilo, la maggior parte africani ma provenienti anche da Bangladesh, Afghanistan, Iraq e Siria. Sono soprattutto uomini ad essere accolti dalle 53 strutture del Milanese (coinvolti una ventina di Comuni), ma non mancano alcuni nuclei familiari e donne con bambini. Una massa di persone capace di generare un giro d’affari di 10,1 milioni di euro solo nel 2015, questa la cifra spesa dalla Prefettura per gestire i centri di accoglienza di Milano e provincia. Soldi dati in mano a 19 enti gestori che dovrebbero essere obbligati per legge a garantire alcuni servizi, tra cui sostegno psicologico, assistenza sanitaria e legale, pocket money di 2,5 euro e tre pasti al giorno. Eppure, nonostante le disposizioni del Ministero dell’Interno, “i servizi dei centri di accoglienza sono decisamente diversi”, continua la volontaria del Naga. Numeri rilevanti anche per il 2016, quando “con una procedura negoziata, senza pubblicazione del bando, sono stati assegnati 7,9 milioni di euro ad alcuni enti gestori che già collaboravano con la Prefettura”, si legge nel rapporto. In aggiunta, un nuovo bando dello scorso gennaio riguarda altri 4.500 posti per una spesa totale di 48milioni di euro. Cifre importanti, anche se “il Ministero dell’Interno ha stimato che per il 2015, a livello nazionale, il costo dell’accoglienza ha rappresentato lo 0,14% della spesa pubblica complessiva”, precisa il report dell’associazione milanese.
“Accesso negato in alcuni centri di accoglienza”
Croce Rossa Italiana, Fratelli di San Francesco d’Assisi, Cooperativa Intrecci, Progetto Arca e Il Melograno: sono loro i pezzi da novanta dell’accoglienza su Milano. Per un periodo che va dal 1 gennaio al 30 giugno 2016, infatti, solo a CRI sono stati assegnati 3,2 milioni di euro, 1,8 a Fratelli di San Francesco, 637mila a Intrecci, 480mila a Progetto Arca e 445mila a Il Melograno. Il paradosso è che “alcuni degli enti che ricevono più soldi sono gli stessi che non ci hanno permesso di entrare nelle loro strutture per vedere come lavorano”, continua Emilia Bitozzi del Naga, che ha trovato le porte sbarrate all’hub di Bresso gestito da Croce Rossa e nei centri di Farsi Prossimo e Progetto Arca per cui non è stata rilasciata alcuna autorizzazione dalla prefettura. “Ma come spesso accade – si legge nel report di Naga – anche il rifiuto è un’informazione”. Quel che ha colpisce di più, secondo i volontari dell’associazione milanese, è “una disomogeneità che lascia disorientati – continua il rapporto – oltre a una certa casualità nell’assegnazione dei posti in accoglienza”. In poche parole è il caso a decidere se un richiedente asilo andrà a finire in un centro di accoglienza di seria A o di serie B.
“Pocket money inesistente e pasti consumati in camera”
Ogni diritto garantito per legge, dal pocket money ai tre pasti al giorno, può essere declinato diversamente di centro in centro. “Cooperativa Ezio e Cooperativa Lotta Contro l’Emarginazione sono modelli da seguire visto che garantiscono qualità e creano ottime interazioni con gli ospiti”, racconta Bitozzi del Naga. La prima, per esempio, compila la lista della spesa insieme agli ospiti che cucinano e vanno a fare la spesa, mentre la seconda ha deciso di rendere autonomi i rifugiati dando loro un’integrazione al pocket money, che funge da cassa comune (ogni ospite riceve 5 euro al giorno invece dei 2,5 previsti dalla Convenzione). Diversa la situazione in alcuni alberghi che fanno capo a Integra onlus dove, si legge nel rapporto del Naga, “non è offerta la prima colazione perché ritenuta troppo costosa”. All’hotel L’Aragosta di Gorgonzola, invece, ma anche nei centri milanesi di Integra in via Fantoli e via Quintiliano, gli ospiti scendono in cucina con i loro piatti nelle ore prestabilite e sono poi obbligati a mangiare in camera. Per quanto riguarda il pocket money, “alcuni enti non lo hanno mai erogato o lo hanno dato solo ad alcuni ospiti, come ci ha riferito un operatore dell’ex Hotel Ambra a San Zenone al Lambro (Fratelli di San Francesco) – si legge sul report (Ben)venuti! – Un gran numero di enti, poi, danno il contributo economico solo saltuariamente (GM Residence; Integra onlus)”.
“Cinque minuti di assistenza psicologica alla settimana”
Anche se la maggior parte delle strutture offre corsi base di italiano, il rapporto mostra l’assenza di qualsiasi offerta in otto centri gestiti da Integra onlus e al GM Residence di Rho. Rispetto alla tessera sanitaria, invece, all’hub di Bresso “alcuni ospiti ci avevano segnalato di non averla ancora ottenuta – racconta il report – mentre non tutte le strutture offrono le medicine prescritte dal medico di base tanto che i farmaci a pagamento, in molti casi, sono a carico dell’ospite”. Ultimo punto è l’assistenza legale, assente tra i gestori di hotel (GM Residence); una mancanza “particolarmente grave nei confronti di minori che si trovano in strutture che non sono loro dedicate (Integra onlus)”. Rispetto all’assistenza psicologica e all’orientamento legale, però, oltre ai tentativi di andare al risparmio si aggiungono le singolari “unità minime di persone e orari” presenti nei bandi. “Per l’assistenza socio-psicologica – continua il Naga – sono previste ad esempio 12 ore settimanali per strutture fino a 150 ospiti”. Conti alla mani, “ogni ospite ha diritto a cinque minuti di assistenza psicologica alla settimana”. Per l’orientamento legale, invece, si arriva fino a 9 minuti e mezzo alla settimana, spesso non in lingua madre. Assistenza legale che per un richiedente asilo può significare la differenza tra mettersi in salvo e dover tornare nel paese da cui è fuggito.