Politica

Referendum Costituzione, riformare col rischio di distruggere: a chi conviene?

La riforma della Costituzione, che sarà a breve sottoposta al vaglio di un referendum, è soltanto l’ultima (per ora) convulsione di una politica tutta italiana, che riforma l’esistente per l’incapacità di gestirlo, o di gestirlo nel modo voluto. E’ il prodotto della stessa violenta immaturità politica per la quale non esiste in questo paese un partito che abbia il coraggio di definirsi conservatore. Possibile che non ci sia nulla da conservare della storia politica del paese? Nessuna conquista del passato che valga la pena di mantenere? Come insegna il Gattopardo cambiare continuamente tutto è un modo di conservare, ma non di conservare il meglio o il buono: di conservare il potere, a costo della distruzione del sistema.

Ovviamente perché la strategia della riforma continua, funzionale alla conservazione del potere anziché all’interesse del cittadino – elettore, funzioni è necessario che la politica sia in grado di convincere il cittadino che dopo tutto riformare, se non addirittura rivoluzionare, il sistema sia nel suo interesse. La riforma della Costituzione è la madre di tutte le riforme: cambia i meccanismi decisionali e i rapporti di potere al più alto livello politico e consente quindi potenzialmente qualunque ulteriore riforma dell’ordinamento dello Stato e dei suoi servizi. E’ quindi importante analizzare il meccanismo attraverso il quale l’elettore viene imbrogliato e convinto la politica faccia l’interesse dei cittadini anziché il proprio.

Uno strumento molto importante dell’imbroglio è la denigrazione dell’esistente: almeno dai tempi di Berlusconi, se non da prima ancora, è in corso l’esperimento politico di creare consenso elettorale attraverso la (presunta) denuncia dei difetti del sistema, anziché attraverso la pubblicizzazione dei suoi meriti. Denigrare è sempre più facile che lodare: basta infatti riferirsi ad una idealità della cui realizzabilità pratica non c’è traccia. Con l’aiuto di giornalisti compiacenti, sarà sempre possibile trovare un giudice che indossa calzini azzurri, a dimostrazione e vituperio dei difetti della giustizia; o un caso di malasanità, a dimostrazione che un Servizio Sanitario Nazionale valutato dall’Oms il secondo migliore del mondo, sia un disastro e una vergogna. Sarà sempre possibile additare al pubblico disprezzo un sistema della ricerca che è ottavo nelle graduatorie internazionali o una università pubblica che si classifica duecentesima nel mondo? Ciò che deve essere nascosto (e basta non riferirlo) è che la duecentesima università del mondo, rispetto al numero delle università valutate, si classifica al 97mo percentile: su 99 università scelte a caso, la duecentesima del mondo è peggiore di tre e migliore delle rimanenti novantasei; allo stesso modo, basta non riferire che il Servizio Sanitario Nazionale nel quale un paziente è morto in corso di intervento chirurgico salva ogni giorno la vita di mezzo milione di pazienti diabetici.

Una volta che il cittadino è stato convinto da una propaganda martellante che i servizi pubblici che paga con le sue tasse ed ai quali ha accesso sono pessimi, e che quindi qualunque riforma sia preferibile allo status quo, la strada del consenso è aperta e qualunque saltimbanco può costruirsi una carriera politica sulla semplice promessa di “cambiare” qualcosa. Berlusconi ha promesso cambiamenti per vent’anni, Renzi segue l’esempio, Beppe Grillo pure. Ovviamente domani saremo insoddisfatti delle riforme di Renzi, come pure di quelle di Beppe Grillo (o chi per lui): perché riformare il secondo miglior Servizio Sanitario Nazionale del mondo, o l’ottavo sistema della ricerca, comporta il grosso rischio di renderli peggiori anziché migliori: date le condizioni di partenza c’è molto più margine per il peggioramento che per il miglioramento, tanto più se lo scopo della riforma non è il miglioramento del sistema ma il controllo del potere. Un consiglio? Opporsi alle ipotesi di riforma (Costituzionale o altre) se proposte da gruppi di potere che mancano di riconoscere i pregi del sistema che intendono riformare: perché quei pregi li distruggeranno, senza dare garanzia del miglioramento promesso.