La strage degli ospedali, quello di Medici senza frontiere, bombardato dall’esercito dove è morto l’ultimo pediatra, il dottor Muhammad Waseem Maaz, e quello di Al Dbait colpito dai ribelli che hanno ucciso 19 persone, è l’ultima tappa della distruzione di Aleppo la città più mista e più tollerante della Siria.

“I rapporti dell’impero Ottomano tra il 1915 e il 1918 – scrive Charles Glass nel libro Syria burning – Isis and the Death of the Arab Spring – descrivono comunità di Musulmani, Cristiani ed Ebrei che vivevano negli stessi quartieri. A differenza di Tunisi dove gli ebrei potevano solo affittare le case, i governatori di Aleppo imposero che non ci fosse alcuna restrizione di tipo religioso o sessuale nel diritto alla proprietà”.

Per un anno – racconta Glass – proprio il carattere cosmopolita della città ha illuso i suoi abitanti di poter evitare l’inferno che stava ingoiando il resto della Siria. Oggi lamentano sia le violenze dell’esercito che quelle dei ribelli, compreso il Free Syrian Army. Il corrispondente del Guardian Ghaith Abdul Ahad aveva assistito a una riunione di 32 comandanti dei ribelli alla fine del 2012 e un ex-ufficiale di Assad che aveva assunto il comando della città disse ai suoi compagni: “Anche la gente ne ha piene le tasche di noi. Ci consideravano liberatori, ma ora ci denunciano e fanno dimostrazioni contro di noi”.

L’incapacità dei ribelli di tenere le aree che avevano conquistato – spiega Glass – spesso ha avuto come unico esito quello di esporle alle rappresaglie dell’esercito.

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