Sono grandi miliardi di volte il nostro Sole. Si celano nel cuore delle galassie. Ognuna di esse, secondo gli scienziati, ne custodirebbe uno. Compresa la Via Lattea. Anzi, senza di essi, forse le galassie nemmeno esisterebbero. Sono, infatti, considerati i semi attorno ai quali dopo il Big Bang, nel corso del primo dei quasi 14 miliardi di anni di vita dell’universo, si sarebbe iniziata a concentrare la materia per dare forma alle prime galassie del cosmo bambino. Sono giganteschi buchi neri, immense aspirapolveri cosmiche che risucchiano ogni cosa capiti loro a tiro, luce compresa. Ma come si sono potuti formare? Come spesso accade per i grandi quesiti scientifici, la risposta più corretta è che non lo sappiamo ancora con certezza.
Una possibile spiegazione viene adesso da uno studio, appena pubblicato sulla rivista “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society”, ad opera di un gruppo di scienziati coordinato da Kentaro Nagamine, dell’Università giapponese di Osaka, e da Isaac Shlosman, dell’Università americana del Kentucky. La ricerca si basa su una simulazione, realizzata grazie ai potenti supercomputer dell’Università di Osaka e dell’Osservatorio astronomico nazionale del Giappone. E porta a un risultato sorprendente, che lega l’origine dei cosiddetti buchi neri supermassicci a un altro mistero del cosmo: la natura della materia oscura, che compone circa un quarto dell’universo. Secondo lo studio nippo-americano, i buchi neri al centro delle galassie, in particolar modo quelle più lontane e brillanti mai osservate, chiamate quasar, sarebbero nati da nubi di gas precipitate in buche create dalla materia oscura, all’incirca 700 milioni di anni dopo il Big Bang.
“Ai margini dell’universo visibile esistono alcuni tra gli oggetti più luminosi mai osservati, i quasar – spiegano gli autori della ricerca -. L’universo primordiale aveva l’aspetto di un plasma denso, caldo e uniforme. Man mano che si raffreddava, fluttuazioni nella distribuzione della massa hanno formato semi attorno ai quali la materia potrebbe essersi raccolta a causa della gravità”.
Uno scenario che può apparire fantascientifico. Finora si pensava, infatti, che i buchi neri giganteschi fossero nati dal collasso delle prime stelle nate nell’universo. Ma le simulazioni condotte fino a oggi mostrano che questo processo porterebbe solo alla nascita di piccoli buchi neri. Nella nuova simulazione, invece, il buco nero è cresciuto molto rapidamente, raggiungendo in due milioni di anni una massa pari a due milioni di volte quella del Sole.
“A noi piace spingere più indietro possibile nel tempo le frontiere di quel che possiamo vedere”, sottolinea Kentaro Nagamine. Queste frontiere, che sembrano al momento irraggiungibili, potrebbero invece divenire realtà tra un paio di anni, nel 2018, quando verrà lanciato nello spazio il successore di Hubble, il James Webb Space Telescope della Nasa, che guarderà nei più lontani recessi del cosmo da una posizione privilegiata: a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra.