Una storia che si svolge tra i confini e i monti, quella raccontata nel documentario Café Waldluft di Matthias Koßmehl, presentato in questi giorni al 64. Trento Film Festival. Una storia che riflette sul concetto di Heimat, ma anche di Europa, in tre diverse prospettive: quella del profugo, quella del migrante, quella del turista. Sono infatti diverse le testimonianze raccolte in questo lavoro di settanta minuti, girato in circa sette mesi nel 2014 a Berchtesgaden, paesino tedesco delle Alpi salisburghesi, a sud della Baviera. Café Waldluft è un ristorante-albergo gestito da “Mama” Flora, austriaca di nascita ma tedesca di adozione, che sperimenta dal 2012 una gestione condivisa tra accoglienza di rifugiati politici e turisti. Un esperimento di gestione che è fallito in breve tempo visto che molti dei turisti tedeschi che giungevano all’albergo non accettavano il disturbo della trentina di rifugiati, ma che dal punto di vista dell’accoglienza dei profughi ancora oggi rappresenta una struttura di integrazione singolare e esemplare per lo spirito di iniziativa umanitaria e il contesto.
La testimonianza di Flora, all’interno del documentario, sottolinea l’interesse per la questione accoglienza ancora prima del grande flusso e del caos mediatico dell’agosto 2014, malgrado lo shock iniziale e le diffidenze del paese. Al Café le testimonianze si mescolano. La stessa cuoca dell’albergo, tedesca dell’Est immigrata a Ovest dopo la caduta del muro, riflette le contraddizioni che ha vissuto e che vive; come è noto, alla caduta del muro (quello, emblematico, che separò Berlino e tutta la Germania per più di vent’anni) coloro che si spostarono dall’Est all’Ovest della Germania furono considerati rifugiati. Oppure la turista tedesca anziana, che continua a frequentare l’albergo e a godersi la propria vacanza perché quello spazio rappresenta, per lei, il posto ideale dove rilassarsi. L’esperienza dei profughi medio-orientali e africani che abitano il Café rappresentano invece quella condizione di sospensione nella quale vivono, lontani dalla terra natia e dalla famiglia, in un villaggio in cui le tradizioni sono forti e radicate (per lo meno parlano il tedesco).
Il regista tedesco Koßmehl, che aveva già riflettuto sul tema della frontiere in un corto del 2012 dal titolo Benvenuti in Baviera, abitante tra l’altro della zona in cui si svolge il documentario, descrive il mondo di questo piccolo paese come incrocio di persone e ricordi, in cui le notizie diffuse dai telegiornali diventano realtà tangibile anche in una piccola comunità, in un villaggio, una volta dimora estiva di Hitler. Un esempio di un’altra Europa, raccontata da chi la vive, che si contrappone a quella dei confini nazionali e delle barriere che viene riportata sui giornali. Un’Europa “della porta accanto”, che propone una riflessione più ampia sullo spazio europeo e sui flussi migratori.