Ci volevano 13 anni per far estinguere i reati di cui erano accusati i principali imputati del saccheggio del Palazzo di Giustizia di Torre Annunziata: 20 milioni di euro depredati, secondo l’accusa, attraverso un gioco di falsi mandati di pagamento di rimborsi e consulenze di giustizia, orchestrato da un cancelliere con la responsabilità del procuratore capo.
Ci volevano 13 anni eppure è successo: il colpo di spugna della prescrizione ha cancellato in appello le condanne a sei e cinque anni in primo grado dell’ex capo della Procura di Torre Annunziata Alfredo Ormanni e dell’ex supercancelliere Domenico Vernola. Entrambi erano alla sbarra a Roma – competente quando è implicato un magistrato del napoletano – in un processo con 21 imputati per reati che spaziavano dall’associazione a delinquere al peculato, falso e riciclaggio. La Corte d’Appello ha sentenziato 11 prescrizioni, 8 condanne per riciclaggio e 2 assoluzioni nel merito. Colpa dei tempi biblici di un processo di primo grado durante il quale il collegio giudicante è cambiato dieci volte. Spiega un avvocato: “Anche le accuse di riciclaggio aggravato dovrebbero prescriversi tra un mese, non faranno nemmeno in tempo a depositare le motivazioni: i giudici si sono presi 90 giorni di tempo per redigerle”. Basterà presentare un ricorso in Cassazione, e la prescrizione scatterà anche per molti dei condannati in appello.
E così tanti saluti alle responsabilità penali di uno dei più colossali scandali della provincia napoletana del decennio scorso. Esplose violentissimo nel 2004, al termine di una ispezione ministeriale, che contestò a Vernola un giro fraudolento di rimborsi per spese di giustizia. Il cancelliere fu sospeso e allontanato, si aprì una indagine che coinvolse il procuratore Ormanni, firmatario di centinaia di mandati di pagamenti ritenuti fasulli, e i parenti di Vernola, sospettati di essersi fatti girare i soldi raccolti dal cancelliere tramite finti ‘mandati a se stesso’ per trasformarli in auto, case e beni di lusso.
Nel mirino le spese di giustizia di alcune importanti indagini di Torre Annunziata: così finiscono sotto inchiesta a Roma anche alcuni esponenti delle forze di polizia giudiziaria che materialmente le condussero, presentando note spese ritenute anch’esse finte o gonfiate. Il Gup decreta il rinvio a giudizio il 25 maggio 2006. Ma il processo parte al rallentatore perché il collegio giudicante cambia in continuazione. Ed ogni volta si riparte da capo. Udienze celebrate solo per fissare rinvii. Senza istruttorie. Senza testimonianze. Un processo fermo. Partito in pratica solo nel 2012, quando finalmente il collegio si ‘stabilizza’. Quindi due anni di udienze per la sentenza di primo grado. E due per la fissazione dell’appello. Tempi ‘normali’, sui quali però ha pesato il lungo stop iniziale.
Allora si stagliano come due ‘eroi’ gli unici imputati che hanno rinunciato alla prescrizione per ottenere un’assoluzione piena. Si chiamano Emilia Salomone e Sergio Profeta, rispettivamente cancelliere a Torre Annunziata ed ispettore di polizia del commissariato di Sorrento. Assistiti dagli avvocati Francesco Matrone e Giuseppe Ferraro, il cancelliere e il poliziotto erano stati condannati in primo grado e licenziati in tronco. Ora avranno diritto al reintegro e alle spettanze perse. Gli anni smarriti nel lungo tunnel della giustizia, quelli no: sono persi per sempre.