Cosa ci fa sentire la mancanza di qualcuno, anche quando, con quel qualcuno, le cose non sono andate come avremmo voluto e ce ne siamo separati? Le possibilità scatenano le fantasie, ma la realtà è un tiratore scelto, non sbaglia un colpo. Investimenti affettivi pronti al lancio, ben posizionati sui blocchi di partenza, si fratturano le ossa dopo pochi passi, correre come un centometrista una maratona è un supplizio volontario. Dove sta la fregatura? In quel che interessava di quella persona? In quel che si pensava che fosse? O in quel che si voleva che fosse, senza doverci fare i conti, che puntualmente però sono stati presentati e pagati. Se l’altro non corrisponde ai nostri bisogni tocca a noi farlo per non fare la fine di barche nel deserto e arenarci nel nulla.

Giappone

Non sarebbe corretto allora dire che di quel qualcuno non si sente la mancanza, ma il desiderio? Eppure il desiderio è gravido della mancanza, anche se senza parto in prospettiva futura. Doglie continue per quella pancia sempre tonda ed ingombrante, uno stato pensato come transitorio che diviene permanente qualche aggiustamento costante lo deve pur comportare. L’etimologia della parola desiderio è tra le più belle che si possano andare a ricercare, viene da de che in latino ha accezione negativa e sidus che significa stella, desiderare significa quindi avvertire la mancanza delle stelle. La tragedia è che la mancanza delle stelle non si può soddisfare, perché esse sono troppo lontane perché possa mai risultare appagata la loro assenza. Il desiderio si staglia nello spazio che intercorre tra il nostro sguardo e gli astri notturni, sembra infinito, ma non lo è, pur rimanendo una distanza non colmabile, mentre la mano, indicando la stella, inganna dandoci l’illusione quasi di toccarla.

Sento il desiderio di quel che non ho e la mancanza di quello che non posso avere, se quel che non ho mi rapporta al futuro, quel che non posso avere apre una voragine tra presente e passato, caderci è tentazione non confessabile. Siamo anche quello che scegliamo, che lo si ottenga o meno. Trasformare gli oggetti del nostro desiderio in soggetti quantomeno riporta le mancanze ai bisogni che le hanno originate. Quanto il come ci relazioniamo agli altri ci dice di noi è qualcosa in più di quanto noi stessi siamo in grado di fare. Gli altri possono essere come una finestra con gli spifferi durante un temporale, possiamo tenerla chiusa quanto vogliamo, ma qualcosa entra sempre, spalancarla significa aprirsi alle intemperie e vedere che succede.

Alcune persone si scelgono per forme di compensazione “di quel che manca a me tu ne hai in abbondanza, perché non proviamo a stare insieme? “Altre si scelgono per forme di comunanza, “quel che manca a me, manca anche a te, mal comune mezzo gaudio e l’unione fa la forza, perché non proviamo a stare insieme?” Quelle che avanzano, fuori dai primi due tipi di accoppiata, si scelgono per forme di rimanenza, “non è rimasto altro che io e te, perché non proviamo a stare insieme? “ Nel noi, frutto maturo di due individui distinti, si trovano decine di fantasmi di relazioni significative precedenti, il compensare non è però un ricompensare qualcosa che ormai non è più, nonostante ferite ancora visibili. Se quindi a mancare è quanto si desidera perché quanto si desidera è quel che è mancato, si hanno buone possibilità di essere fregati. Siamo in tanti ad esserlo! L’intimità, difesa ed elargita nell’incostanza del momento, è moneta di scambio con quella che è la storia di ognuno.

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