Società

Festa della mamma 2016, l’Italia non è un Paese per madri: quali sono le regioni in cui è più facile avere bambini?

“Troppe sono le differenze e le disuguaglianze sociali, economiche e professionali che penalizzano ancora le mamme in questo paese”. Al Nord, ma soprattutto al Sud. A dirlo è il Mothers’ Index di Save the Children. Ma al di là delle disparità territoriali, guardando ai dati nazionali relativi agli 8 milioni di mamme tra i 25 e i 64 anni che in Italia convivono con figli economicamente dipendenti dalla famiglia, cioè di un’età compresa tra i 15 e i 25 anni, il quadro generale che ne emerge è quello di “una condizione di inequivocabile svantaggio, che ne penalizza le capacità di crescita sotto ogni punto di vista”

Mazzi di rose, concerti a tema, mostre, spettacoli teatrali. Dalle Alpi alla Sicilia, l’8 maggio si celebra la Festa della Mamma. Ma secondo il rapporto pubblicato da Save the Children in occasione della ricorrenza, intitolato – non a caso – “Le equilibriste”, l’Italia del 2016 non è ancora un paese per madri. “Troppe sono le differenze e le disuguaglianze sociali, economiche e professionali che penalizzano ancora le mamme in questo paese”. Al Nord, ma soprattutto al Sud. A dirlo è il Mothers’ Index di Save the Children, che incrociando sette indicatori, cioè tasso di fecondità, l’asimmetria nel lavoro familiare, l’occupazione femminile e la mancata partecipazione al mercato del lavoro, l’indice di presa in carico degli asili nido e dei servizi per la prima infanzia, e la frequenza della scuola dell’infanzia, stila una classifica delle regioni in cui è più facile avere bambini. Al primo posto c’è il Trentino Alto Adige, la più mother friendly d’Italia, seguita da Valle D’Aosta, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana e poi dal resto del Settentrione, “che in generale mostra condizioni più favorevoli alla maternità”. Bocciato, invece, è il Mezzogiorno, che tra disoccupazione, poche nascite e disservizi finisce all’ultimo posto in classifica, rispettivamente con Campania, Sicilia, Basilicata, Puglia, e in fondo, la Calabria.

Ma al di là delle disparità territoriali, guardando ai dati nazionali relativi agli 8 milioni di mamme tra i 25 e i 64 anni che in Italia convivono con figli economicamente dipendenti dalla famiglia, cioè di un’età compresa tra i 15 e i 25 anni, il quadro generale che ne emerge è quello di “una condizione di inequivocabile svantaggio, che ne penalizza le capacità di crescita sotto ogni punto di vista”. Perché avere figli, nel Belpaese, per una donna, significa dedicare buona parte del proprio tempo alla cura della famiglia, “quasi esclusivamente sulle sue spalle”. L’Italia in questo ha il primato europeo. “Vuol dire dover essere protagoniste del welfare nazionale e dover svolgere, anche proprio malgrado, un ruolo predominante nell’assicurare il benessere di bambini, adulti e anziani, senza alcuna retribuzione – spiega Raffaela Milano, direttore  dei programmi Italia-Europa di Save the Children – ma pagando, al contrario, e in prima persona, un prezzo molto elevato nel mancato sviluppo personale e professionale”.

“Una fatica quotidiana spesso insostenibile”, per le mamme italiane, dice Save the Children, a cui si aggiunge la carenza di servizi di sostegno sul territorio. E che si riflette nei dati relativi alla fecondità: “Le donne in Italia hanno in media 1,4 figli, un tasso di fertilità tra i più bassi d’Europa e inferiore a quello necessario per il ricambio generazionale, che è pari a 2,1 figli per donna”. A crescere, invece, è l’età delle mamme: 31,5 anni, mentre nel 1995 il primo figlio nasceva quando la madre aveva 29 anni.

La crisi economica non semplifica la situazione, spiega il report, ma la parte del leone la fa il mercato del lavoro, che in Italia esclude la metà delle donne tra i 25 e i 64 anni, mentre in Europa solo 1 su 3 trova chiuse le porte dell’occupazione. E va peggio in caso di figli: “Tra i 25 e i 49 anni il tasso di occupazione materna con 1 figlio è pari al 58,6%, ma si ferma a 54,2% se i figli sono 2, e non supera il 40,7% con 3 o più figli”. Un dato sbilanciato rispetto agli uomini occupati, rispettivamente all’81,7%, 86,2% e 81,6%.

“Anche quando lavora – continua il rapporto ‘Le equilibriste’ – 1 madre su 3 si ritrova a fare ricorso al part-time, percentuale che cresce con il numero dei figli. L’8,7% delle mamme poi, ha sperimentato un licenziamento forzato in caso di gravidanza, e la percentuale delle dimissioni in bianco sale ulteriormente se si tratta delle donne più giovani”. Il lavoro, poi, non è uguale per entrambi i sessi. “Bisogna tenere anche conto dei fenomeni di segregazione orizzontale, per cui le donne lavorano in settori economici diversi da quelli degli uomini (servizi, cura e relazione con le persone), del differenziale salariale (6,5% nel 2014), e della segregazione verticale in termini di percorsi di carriera (le donne costituivano solo il 27,6% sul totale dei dirigenti nel 2015)”. Non sorprende, quindi, che quasi la metà delle mamme che lavorano, cioè il 42,7%, abbia difficoltà nel conciliare l’impiego con le cure familiari. “Difficoltà che non raramente portano all’abbandono del lavoro, che coinvolge il 30% delle madri con meno di 65 anni, e in più della metà dei casi è dovuta alla nascita di un figlio”. “Le mamme sono una risorsa importante per il paese, ma la stiamo sacrificando in nome di un’organizzazione familista palesemente non più adeguata ai cambiamenti sociali, in corso e futuri – precisa l’associazione – l’unico modo per sostenerle è intervenire sia sul piano dei servizi, sia su quello del lavoro. Una svolta sociale ed economica insomma, che però andrà a vantaggio di tutti”.