La prima sorpresa mi è venuta qualche settimana fa da Giorgio Parisi: quando l’avevo incontrato, da lontano in occasione di una sua conferenza, mi era parso il tipico ricercatore geniale e totalmente assorbito dai suoi studi. Lo immaginavo avulso dai problemi che affliggono un povero mortale come me. A lui – pensavo – non mancano certo (e giustamente) finanziamenti e posti per i suoi giovani; probabilmente ignora le nostre difficoltà quotidiane. Invece ecco che Parisi scrive a Nature per denunciare gli scarsi finanziamenti italiani alla ricerca e indice addirittura una petizione (che vi invito a firmare) per fare pressione sul governo. Dunque anche una personalità come lui riconosce l’importanza di far sopravvivere, e magari far crescere, tutto il tessuto della ricerca.
A certa stampa e a molti cittadini ingenui piace pensare che la scienza sia un affare per il genio isolato e per gli istituti di eccellenza. Quando qualcuno di noi parla delle difficoltà della ricerca italiana, anche nei blog del Fatto, sono molti i commentatori che, più o meno esplicitamente, ci dicono “Ma chi sei tu per pretendere dei quattrini?”. Ed ecco invece che uno scienziato di indiscussa fama internazionale reclama la crescita a partire dalla base; si rende conto benissimo che è indispensabile il genio, ma che è necessario anche il lavoro capillare e meno eclatante delle migliaia di ricercatori che svolgono il loro lavoro lontano dai riflettori; ovviamente promuovendo la qualità.
La seconda sorpresa l’ho avuta dal nostro Presidente del Consiglio, che ci annuncia un finanziamento di 2,5 miliardi per ricerca e cultura. Caspita, che botta! Nuova linfa per la ricerca! Vuoi vedere che l’avevo giudicato male? E invece, purtroppo, la sorpresa si è sgonfiata, la linfa non è nuova: è di nuovo Giorgio Parisi a chiarire come stanno le cose, con interviste e anche su Facebook: “I mitici 2.500 milioni sono il finanziamento del Piano Nazionale della Ricerca, che bisogna fare ogni tre anni. Il Piano precedente era di 2.700 milioni. Abbiamo subito quindi un taglio di 200 milioni senza contare l’inflazione. Mi riferisco al Piano 2014-2020 scritto dal governo Letta, ma mai approvato. A pagina 31 si parla di 900 milioni l’anno.
Il governo Renzi ha messo due anni per finire di approvarlo dopo averlo tagliato. Il precedente Pnr approvato dal Cipe era il Pnr 2011- 2013, che prevedeva per quei tre anni uno stanziamento di 600 milioni l’anno. Un osservatore ingenuo potrebbe rallegrarsi che siamo passati dal 600 a 800 milioni l’anno. Tuttavia, visto che i finanziamenti del Cipe finivano nel 2013 e (a quanto capisco) non ci sono stati nel 2014 e 2015, se prendiamo gli anni 2014-2018 abbiamo che il mitico finanziamento di 2.500 milioni è una riduzione di 100 milioni l’anno rispetto ai 600 milioni l’anno programmati nel triennio 2011-2013.”
Mi sono sentito come quando suonano alla porta e dicono “Siamo venuti per il ribasso di luce e gas”: un’affermazione formalmente vera ma meschinamente ingannevole. Avrei di gran lunga preferito sentir dire da Renzi: “C’è una crisi e non possiamo confermare lo stanziamento previsto dal governo Letta, però almeno conteniamo il taglio.” (Ma non c’era la ripresa?) Così invece mi sembra di essere ai tempi della ministra Gelmini, che si proclamava meritocratica e intanto operava in senso opposto (liberalizzando il numero di abilitazioni per i passaggi di ruolo), tuonava contro di noi “baroni” e intanto ci passava le patate bollenti. Per carità, ben vengano i 2500 milioni! Ma dal governo vorrei meno sorprese e più limpidezza.