Trionfo nella gara a squadre di Roma con il tempo di 3h39'00. Un tempo e un piazzamento che per il campione olimpico di Pechino 2008 valgono la qualificazione ai Giochi del 2016
Il figliol prodigo dell’atletica italiana è tornato. Anche se ad accoglierlo, sul traguardo delle Terme di Caracalla, non c’è quasi nessuno a braccia aperte: la standing ovation del pubblico, i sorrisi tirati di dirigenti e compagni. Alex Schwazer rientra dalla squalifica da campione: vince, anzi stravince, la 50 chilometri ai Mondiali di marcia a squadre a Roma, rifila oltre tre minuti al secondo classificato, si qualifica per le Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016 dove sarà uno dei favoriti. Come se quattro anni di scandalo, polemiche e lontananza dalle gare non fossero mai trascorsi. Un’impressionante dimostrazione di forza e di talento, una rivincita personale. Non solo sua, anche di Alessandro Donati, il guru dell’antidoping che sulla riabilitazione del marciatore altoatesino ci aveva messo la faccia. L’esatto contrario della Federazione atletica leggera, che del loro ritorno avrebbe fatto volentieri a meno. Anche se adesso potrebbe portare una medaglia preziosissima ai Giochi in Brasile. Per alcuni è una bella storia di redenzione umana, osteggiata dai vertici e dal gruppo perché Schwazer ricorda a tutti la presenza del doping nello sport italiano. Per altri l’ennesimo ritorno di un dopato rappresenta solo una sconfitta per la credibilità dell’atletica. Tanti nell’ambiente la pensano così: pochi giorni fa Gianmarco Tamberi, nuova stella dell’atletica azzurra, lo aveva definito “vergogna d’Italia”. Il cronometro, però, non dà giudizi: primo in 3 ore e 39 minuti, tempo super, molto vicino al personale di 3h36′. Spaventoso per chi non faceva una 50 km da quattro anni.
DOMINIO ASSOLUTO – A vedere la gara – un successo così netto, sulla cui integrità ora non si può dubitare (sono decine i controlli fatti solo negli ultimi mesi) – viene da chiedersi come un atleta con un talento così fuori dal comune abbia potuto cadere nella tentazione del doping. Dopo quattro anni di inattività Schwazer ha dominato dal primo all’ultimo metro: è partito a metà gara salutando i compagni del gruppo di testa, nonostante i tecnici lo invitassero a stare tranquillo. Si è lasciato dietro tutti i migliori marciatori del panorama internazionale, dall’australiano Jerad Tallent (paladino della marcia pulita) al cinese Han; mancava solo il primatista mondiale Yohann Diniz (che ci sarà a Rio). Mentre Marco De Luca, l’altro italiano unico qualificato per i Giochi prima di questo appuntamento, è arrivato staccato di quasi 6 minuti. Strano scherzo del destino, i Mondiali assegnati all’Italia dopo la sospensione per lo scandalo doping della Russia, celebrano la riabilitazione del dopato per eccellenza. La sua storia fa passare in secondo piano tutto il resto: l’oro a squadre della nazionale con quattro azzurri nei primi dieci; il quarto posto di Noemi Stella nella 10 km e il quinto di Elisa Rigaudo nella 20 km. Ma Schwazer è un rullo in gara e una calamita per i riflettori, nonostante quella mascherina nera con cui quasi cerca di nascondersi dai mille obiettivi puntati tutti su di lui.
DOPPIA RIVINCITA – È l’ennesimo risultato straordinario di una carriera tutta fuori dal comune, nel bene e nel male: bronzo mondiale appena ventenne, olimpionico a Pechino 2008, già finito a soli 27 anni per lo scandalo doping. Trovato positivo all’epo il 6 agosto 2012, fu escluso, sospeso, squalificato, oltre che pubblicamente additato da tutto il mondo dello sport italiano. In mezzo anche la storiaccia di amore, doping e tradimento in cui ha coinvolto l’ex fidanzata Carolina Kostner, per collaborare (o cercare uno sconto mai ottenuto) e che certo non ha contribuito a migliorare la sua immagine di uomo prima che di atleta. La pena è scaduta il 29 aprile 2016. E nella prima gara dopo questi quattro anni infernali ha dimostrato di essere ancora il più forte. Merito anche di Alessandro Donati, che più di tutti ha creduto nella rinascita mettendo in gioco la sua reputazione di guru dell’antidoping. Per lui la soddisfazione è doppia: ha vinto la sua scommessa sul marciatore altoatesino, e anche contro la federazione che l’aveva cacciato tanto tempo fa. Donati è l’allenatore che ha denunciato il doping di Stato negli Anni Ottanta e Novanta, e pure la messinscena del salto in lungo (non così lungo) di Giovanni Evangelisti ai Mondiali di Roma 1987. Da allora fu epurato dalla Fidal e un po’ da tutti gli ambienti ufficiali dello sport italiano (esperto stimato a livello mondiale, consulente della Wada, non ha più ricoperto cariche ufficiali dal nostro Paese).
A RIO TUTTI INSIEME (POCO) APPASSIONATAMENTE – Volente o nolente, adesso la Federazione dovrà riabbracciare entrambi, il campione rinnegato e l’allenatore bollato come infame. Ma potrà esserci al massimo una tregua armata, non vera riappacificazione. “La Federazione, la squadra e i miei compagni mi hanno accolto molto bene”, aveva scritto lui alla vigilia. Parole o gesti di facciata: la tensione in questo weekend è sempre stata alta. Chi c’era nel 2012 forse non ha ancora perdonato, di certo non ha dimenticato. I giovani guidati da Tamberi non sono meglio disposti e il presidente Giomi non aspettava questo ritorno. Quanto al pentimento, se c’è stato per davvero e fino in fondo lo sa solo Schwazer in cuor suo. Domande inutili, cancellate da questo primo posto. Alex Schwazer e l’Italia dell’atletica oggi si ritrovano e andranno insieme alle Olimpiadi di Rio. Come nella parabola del figlio prodigo, ma senza nulla di edificante.