In scena al Maggio Fiorentino il lavoro che vede anche la collaborazione del rapper Millelemmi e del writer Marco Tarascio. Il compositore: "Il dialogo, l'apertura, l'incontro, la curiosità reciproca arricchiscono, sono l'unico modo per non sprofondare nel gorgo di una modernità senza scrupoli"
“Abbiamo pensato di infrangere tutte le regole aristoteliche dell’unita di tempo, luogo e azione, raccontando squarci di scene dell’umanità”. Così Fabio Vacchi, compositore italiano tra i più noti al mondo e giunto alla sua nona impresa lirica, introduce Lo specchio magico, urban art dance opera nata dalla collaborazione con lo scrittore e poeta Aldo Nove. La prima opera-rap della storia, ultima fatica di un compositore che insofferente, così come il collega librettista, verso dogmi, certezze, barriere e verità assolute, è andata in scena sabato al teatro dell’Opera di Firenze per il Maggio fiorentino. Da qui nascono le collaborazioni col rapper Millelemmi, abilissimo nel ricondurre il rap italiano a una matrice fiorentina popolare e raffinata, e il writer Marco Tarascio, in arte Moby Dick, che per l’occasione ha realizzato nella cavea del teatro una performance che è stata riprodotta live in sala dal regista Edoardo Zucchetti. Per restare in tema di contributi e collaborazioni fuori dallo schema operistico, sintomatico infine l’intervento del danzatore Filippo Coffano Andreoli, diciottenne già attivo sulla scena londinese.
Riportare dunque la secolare musica d’arte a dialogare con la cultura popolare, con l’hip hop e l’arte di strada, nel tentativo, dichiarato, di superare quelle barriere che hanno prodotto tanti purismi quante paludi intellettuali: “Sono consapevole debitore alle sperimentazioni delle avanguardie – commenta Nove nel suo Riflessi e riflessioni – di cui la mia scrittura è figlia, ma intollerante ai loro cascami dottrinari e pedanti e ancor più alla loro saccente produzione di brutture mascherate da pretese filosofiche non di rado banali”. Intervistato dal Fatto.it sulle responsabilità delle élite culturali, musicali, nel progressivo allontanamento del pubblico da teatri e auditorium, Vacchi si lancia poi in un affondo significativo: “Ce ne sono eccome, di responsabilità. I circuiti del potere intellettuale hanno con supponenza stabilito, e imposto, canoni di ricerca ricchi di affascinanti teorie, di afflati messianici filosofici, di raffinati presupposti. Ma totalmente astratti e privi dell’umiltà di cui l’arte da sempre si nutre”.
Non poco per un musicista figlio diretto del mondo delle avanguardie, che a proposito dei giovani e del loro scarso interessamento al mondo della musica d’arte contemporanea afferma: “Troppo facile bollare una generazione, piuttosto che fare autocritica. Sul tipo di musica che si è propinata, sul disinteresse a valorizzare e individuare i compositori amati dal pubblico, nonostante si siano mantenuti fedeli allo spessore del proprio linguaggio. Invece sì va avanti come automi, tra scambi di favori e piaggerie”. Prospettive insolite quanto affascinanti quelle di uno dei maestri della contemporaneità musicale, un compositore fermamente convinto della necessità di un dialogo che arricchisca senza scadere nella confusione: “Bisogna evitare la musica leggera che fa finta di essere classica non avendone i mezzi specifici, o quella classica che fa il verso a quella leggera non avendone lo spirito. Il dialogo, l’apertura, l’incontro, la curiosità reciproca, invece, arricchiscono, sono l’unico modo per costruire, per crescere, per andare avanti, per non sprofondare nel gorgo di una modernità senza scrupoli”.
Un’opera, Lo specchio magico, che a ulteriore conferma di una precisa volontà di andare oltre il già noto e di stabilire nuovi legami e connessioni possibili, è stata diretta da uno dei direttori d’orchestra più eclettici della scena internazionale, John Axelrod, a suo tempo scopritore di un gruppo come gli Smashing Pumpkins.
Un’opera, infine, che sotto diretto influsso del suo librettista, Aldo Nove, osa tornare a parlar d’amore, parola troppo spesso e troppo facilmente banalizzata e ridicolizzata specie nel mondo della canzonetta di consumo. “Nessuno come Mozart ha saputo parlare d’amore con un’ampiezza di vedute che corrispondeva alla profondità del suo pensiero musicale”, commenta Vacchi, aggiungendo in seconda istanza “De Andrè, Springsteen, Sting, gli U2 e alcuni complessi rock di giovanissimi, soprattutto statunitensi e africani: l’intergenerazionalità del mio Specchio Magico esplora una zona di complicità esistenziale appena sbocciata nella società d’oggi, che sicuramente riuscirà a ricucire i pezzi dell’identità individuale e sociale forzosamente e scioccamente separati”. Che questa sia la volta buona per una consapevole rigenerazione di un mondo, quello dell’opera e più in generale della musica d’arte, progressivamente allontanatosi dal grande pubblico, questo lo scopriremo, tra un rap e un passaggio orchestrale, solo vivendo.