Dipendenti a busta paga della Asl, ma “tuttofare” delle agenzie mortuarie con una sorta di tariffario fisso. Un giro consolidato, e fruttuoso, che andava avanti da anni, probabilmente decenni. Il racket delle pompe funebri nel Cagliaritano coinvolgeva cinque importanti ospedali di Cagliari: nelle sale mortuarie del Brotzu, del Santissima Trinità, del San Giovanni di Dio, del Marino e del San Giovanni di Dio, parte lesa dell’inchiesta, comandavano i necrofori. L’obitorio era terra loro: di potere, anche. In venti, tutti uomini sopra i 55 anni, da oggi sono agli arresti domiciliari, gli indagati sono 168. Si tratta dei titolari delle agenzie funebri che contavano sull’aiutino dei loro “soci” interni.
Il giro delle mazzette, sgominato dai carabinieri di Cagliari, va oltre il mezzo milione di euro. Soldi racimolati durante le indagini avviate nel 2013 fino al 2015. E per questo la stima è ancora più alta. Il via è stato dato da un esposto presentato dalle agenzie funebri “ribelli”: da chi non ha voluto pagare il pizzo per aggiudicarsi i defunti. Cifre anche irrisorie per un guadagno sicuro e alto: la forbice andava dai 20 ai 200 euro a seconda del favore svolto. C’era chi indicava il nome ai parenti, chi concedeva “lo spazio più grande” (in modo che servissero più fiori), chi addirittura sistemava le pratiche o preparava i cadaveri per le esequie – anche prima dei tempi stabiliti per legge – pur di favorire l’agenzia favorita. Pochi spiccioli che diventano un fiume di denaro: entrata dopo entrata gli operatori avevano un altro stipendio parallelo, una sorta di secondo lavoro autonomo. Le stime degli inquirenti parlano, infatti, di cifre superiori anche a mille e cinquecento euro al mese.
Le mazzette nella bara
Lo scambio di denaro avveniva in sede, ossia negli obitori, o lì vicino: addirittura le telecamere hanno ripreso un caso in cui, con nonchalance, le banconote erano state infilate a lato della bara. Poi subito prelevate: gesti silenziosi e sicuri che testimoniano una prassi, nonostante i sospetti dei controlli. Perché in un altro caso, addirittura, era stata scoperta una telecamera subito oscurata con dello scotch da pacchi, come hanno rivelato da altri filmati. Esisteva anche un registro volante delle prestazioni: i pizzini cartacei con il nome della famiglia e il servizio svolto da un necroforo finivano in un salvadanaio trovato durante una perquisizione. Nessun sistema piramidale o associazione tra i venti necrofori, né alcun legame di parentela o particolare amicizia con i titolari delle agenzie: ognuno agiva in modo autonomo ma del tutto simile. Un codice non scritto a cui i titolari si sottoponevano senza particolari pressioni vista la posta in gioco.
I nomi
Ai domiciliari sono finiti Andrea Vacca, Piero Spiga, Paolo Atzeni, Ivano Tullio Arangino, Bruno Carta, Pietro Murgia, Agostino Di Francesco, Mario Onnis, Romano Congiu, Giorgio Locci, Umberto Fanni, Gesuino Cocco, Antonello Melis, Piero Usai, Ignazio Puddu, Marco Putzu, Mario Pinna, Ignazio Pilloni, Mario Palmas, Salvatore Furcas. Le accuse contestate dal pm Giangiacomo Pilia vanno da induzione indebita continuata in concorso fino a peculato, truffa aggravata e falso in atto pubblico. Perché i necrofori erano anche assenteisti di professione, si spostavano dalla sede di lavoro per le commissioni delle agenzie e altro. Tra colleghi c’era un fitto cambio turni senza che si avvisasse la direzione, nonché un uso disinvolto dei badge aziendali. Nonché un continuo traffico e via vai nelle camere mortuarie cagliaritane di cui gli operatori disponevano a piacimento.