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Grecia, nulla di fatto all’Eurogruppo: “Del debito parliamo il 24 maggio”. Parlamento taglia pensioni e alza l’Iva

Nonostante il varo del nuovo pacchetto di riforme la decisione sullo sblocco della seconda tranche di aiuti è rinviata ai prossimi giorni. Uno studio della European School of Management and Technology rivela che dei 215 miliardi di aiuti accordati finora solo 10 sono finiti nelle casse statali, mentre 86,9 sono stati usati per restituire altri prestiti

 

Nonostante il Parlamento greco domenica abbia approvata una dolorosa riforma pensionistica e fiscale, l’Eurogruppo straordinario che avrebbe dovuto sbloccare la seconda tranche di aiuti del pacchetto negoziato la scorsa estate è finito con un nulla di fatto. Se ne riparla il 24 maggio, quando sarà pronto il rapporto sul debito in preparazione da parte dell’Euro working group, in pratica gli sherpa dei ministri delle Finanze dell’Eurozona. Nei prossimi giorni, ha fatto sapere il vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis, sarà messo a punto un accordo tecnico per l’esborso dei fondi. Un “accordo complessivo è possibile” e “necessario”, aveva detto prima della riunione il commissario europeo agli Affari economici Pierre Moscovici, sottolineando però che “dovrebbe affrontare i tre aspetti” della questione: “le riforme” adottate dalla Grecia, “e qui ci siamo; le misure di salvaguardia, e ci siamo quasi; il debito, e qui stiamo iniziando la discussione”. Il ministro tedesco Wolfgang Schaeuble si è detto “fiducioso” in un’intesa entro maggio ma sul debito ha ribadito che non si può parlare di un alleggerimento senza avere prima un’analisi sulla sua sostenibilità.

Pochi progressi, dunque, rispetto alla fine di aprile, quando i rappresentanti della troika e del Fondo europeo di stabilità hanno chiesto al governo Tsipras di approvare un pacchetto di clausole di austerità aggiuntive pronte a scattare nel caso in cui gli obiettivi di bilancio non siano rispettati e in grado di far risparmiare altri 3 miliardi di euro. Questo nonostante, appunto, domenica la maggioranza formata da Syriza e dai nazionalisti dei Greci indipendenti sia riuscita ad approvare le riforme concordate con i creditori con 153 voti a favore e 143 contrari. Il nuovo pacchetto legislativo porta l’Iva dal 23 al 24% e fa scendere la soglia di reddito esentasse a 9.091 euro. Dovrebbe permettere di risparmiare 5,4 miliardi di euro all’anno per raggiungere nel 2018 un surplus primario pari al 3,5 per cento del Pil, come previsto dal terzo programma di salvataggio firmato da Atene con la troika e il Fondo europeo di stabilità.

Tutto questo per ottenere ben poco in termini di aiuti concreti per l’economia. Un rapporto della European School of Management and Technology, riportato nei giorni scorsi dal quotidiano economico tedesco Handelsblatt, ha messo nero su bianco che dei 215 miliardi di aiuti accordati con i precedenti piani di salvataggio solo 9,7 sono stati destinati alle casse statali, mentre 86,9 miliardi sono stati usati per restituire altri prestiti, 52,3 miliardi per pagare gli interessi e 29,7 per ricapitalizzare gli istituti di credito. “I contribuenti europei hanno salvato gli investitori privati – ha spiegato Jörg Rocholl, presidente dell’istituto curatore del rapporto – Il pacchetto di aiuti è servito principalmente per salvare le banche europee”.

Il primo ministro Alexis Tsipras nonostante tutto ha difeso le ultime riforme. “Siamo impegnati – ha detto intervenendo in Parlamento – a riformare il sistema pensionistico senza ridurre le pensioni principali. Il sistema aveva bisogno di una riforma perché è troppo complesso, socialmente ingiusto e clientelare. E non corrisponde allo Stato finanziario del Paese”. Il capo del governo ha sottolineato che il sistema a partire da oggi sarà “sostenibile senza toccare le pensioni principali” e ha promesso che “a più di due milioni di pensionati non verrà tolto un solo euro dalla pensione”. Tsipras si è difeso dalle accuse del principale partito di opposizione, Nuova Democrazia, forza di centrodestra che ha guidato il Paese dal 2012 al 2015, ribadendo che coloro che ora li accusano di imporre “uno tsunami di imposte“, hanno approvato “tasse e tagli per un valore di 63 miliardi di euro tra 2010 e il 2013. Solo nel 2014 i tagli imposti alla popolazione furono di 10 miliardi”.

Domenica circa 10mila manifestanti si erano raccolti nel pomeriggio a piazza Syntagma, davanti al Parlamento, per chiedere il ritiro delle due riforme. Il corteo mattutino più partecipato era stato organizzato dal sindacato Pame legato al Partito comunista Kke, a cui secondo la polizia c’erano circa 7mila persone, mentre alla marcia organizzata dal principale sindacato del settore privato Gsee hanno partecipato 1.500 persone. Il malcontento sociale nel Paese era già sfociato nello sciopero generale di 48 ore che si è svolto venerdì e sabato, convocato da Adedy e Gsee, che ha portato al blocco totale dei trasporti pubblici ma ha avuto un impatto minimo sui negozi, e al quale si sono uniti settori come giornalisti e agricoltori.