Era la notte tra il 28 e il 29 luglio 2013 quando il bus precipitò dal viadotto Acqualonga dell’A16, a Monteforte Irpino (Avellino). Quaranta i morti. Una strage per il quale il gup del Tribunale di Avellino, Francesco Fiore, ha accolto le richieste della Procura e rinviato a giudizio tutti i 15 indagati con le accuse di omicidio colposo plurimo e disastro colposo. La prima udienza del processo si terrà il prossimo 28 settembre davanti ai giudici del Tribunale di Avellino. L’udienza preliminare era iniziata lo scorso settembre e si è svolta nell’ex carcere borbonico di Avellino, soluzione necessaria con la sua sala congressi da circa 200 posti per ospitare le tante persone coinvolte nel procedimento tra indagati, avvocati e parti civili.
Tre degli indagati, Gennaro Lametta, proprietario del bus, Vincenzo Saulino e Antonietta Ceriola, dipendenti della motorizzazione di Napoli, devono anche rispondere di falso in atto pubblico per aver falsificato i documenti della revisione dell’automezzo. Secondo le perizie predisposte dalla Procura, la tragedia sarebbe stata originata da un guasto all’impianto frenante del bus e dall’usura dei “tirafondi”, i bulloni che fissavano al suolo la barriera protettiva del viadotto.
Rinviati a giudizio anche Giovanni Castellucci, e Riccardo Mollo, rispettivamente amministratore delegato e direttore generale dell’epoca della società Autostrade per l’Italia, e altri dieci tra funzionari e responsabili tecnici e della manutenzione del tratto autostradale in cui si verificò l’incidente. Per i vertici della società, la difesa, rappresentata da Franco Coppi, aveva chiesto il proscioglimento, sostenendo che le barriere protettrici erano idonee a reggere anche gli urti più violenti. In particolare, secondo Coppi, gli interventi di manutenzione non rientravano nelle dirette responsabilità dei vertici societari ma nel contesto di una programmazione di interventi che riguarda l’intera rete autostradale. Intanto, la compagnia che assicura Autostrade per l’Italia ha raggiunto accordi per il risarcimento di 200 persone, parenti stretti delle vittime.