C’è una breve domanda, dalle conseguenze enormi, alla quale è proprio giunto il momento che il Movimento 5 Stelle dia una risposta chiara, inequivocabile e definitiva, per il bene del Paese ed anche per il proprio bene. La fase storica che vivono sulla propria pelle gli italiani – in particolare per la crisi economica, finanziaria e produttiva, per i rapporti con l’Europa, per le conseguenze delle ondate immigratorie e soprattutto per la crisi del sistema politico e istituzionale – è assai complessa. Richiederebbe interventi risanatori urgenti e un personale politico deciso, senza macchie e dalle idee chiare.
Intanto, Grillo stava per fare un passo indietro (o di lato), il guru Casaleggio non c’è più, il pre-leader Di Maio procede nel suo tour di legittimazione internazionale, si riapre la guerra fra governo e magistratura, importanti elezioni amministrative sono alle porte, probabilmente la capitale sarà governata da una giunta a 5 stelle, è in corso uno scontro decisivo (per le sorti della democrazia in Italia) sulla riforma governativa della Costituzione divenuto anche un referendum sul “renzismo”…
In questo quadro, è comprensibile che gli italiani, a cominciare da coloro che guardano sin dall’inizio al Movimento 5 Stelle con interesse e speranza, anche se non acriticamente, si interroghino su quale sia oggi esattamente la posizione dei 5 Stelle non solo a proposito del ventaglio di interventi e decisioni necessarie in materia di lavoro, servizi pubblici, finanza pubblica, ecc., ma prima ancora sulla questione “democrazia diretta”.
In concreto, è fondamentale capire e sapere se – in base alla straordinaria esperienza sin qui acquisita da un movimento che, nato com’è nato (Grillo, Casaleggio, la rete…), è riuscito d’impeto a conquistare nel giro di pochissimi anni un ruolo da protagonista sulla scena politica – siano maturate le condizioni per una solida ed esplicita posizione, rispetto alla propria presenza nelle istituzioni, diversa da quella iniziale.
La domanda alla quale Grillo, Casaleggio jr e il Direttorio ora dovrebbero rispondere è insomma la seguente: la strada scelta o considerata ora inevitabile – una strada che a chi firma appare da sempre virtuosamente praticabile, anzi da praticare e purtroppo sottostimata – è effettivamente quella di una naturale e operosa integrazione fra “ortodossia” e “pragmatismo” (cosiddetti) e della “rivoluzionaria” irruzione degli strumenti della democrazia diretta nel corpo vivo della democrazia rappresentativa?