In Italia, ormai, è tutto un circo. Anche quella cosa terribilmente seria che è la lotta alla mafia. E quando sei al circo ti devi beccare i pagliacci. Ma i nostri, quelli che occupano il circo della politica italiana, non fanno ridere. Prendete il caso Platì, il minuscolo paese aspromontano, ritenuto (a ragione) il cuore pulsante della ‘ndrangheta e del narcotraffico mondiale. Non lo diciamo noi, ma Nicola Gratteri, il procuratore che ha impegnato l’intera sua carriera su questi temi.

E’ difficile parlare delle elezioni di Platì. Non c’è libertà di pensiero, se si scrive quello che si sa – e che non corrisponde alla narrazione renziana – si corre il serio rischio di essere additati come misogini, amici della mafia, settari e nemici dello statista di Rignano. Corriamo il rischio e sintetizziamo cose che i lettori hanno già letto sul nostro giornale. Leopolda, Renzi presenta la candidata a sindaco di Platì. E’ giovane, carina e parla bene. Mastica la politica (è una collaboratrice parlamentare a Roma), ed è la faccia pulita da usare come antidoto alle chiacchiere su Banca Etruria, Maria Elena e compagnia toscana. Inizia la campagna di Platì. Che dura un anno. Tutto speso sui social e in tv. Foto, tweet, post, troll, compiacenti talk-show, interviste “carine” alla candidata sui giornaloni amici. Faremo, diremo, vinceremo.

Il Pd a Platì parte bene (ultime regionali, centrosinistra 77,55%, Pd 20,62). Ma allo scadere dei termini per la presentazione delle liste, la sorpresa: il Pd non ha i candidati, un anno di incessante campagna pubblicitaria non è riuscita a convincere 12 persone 12 del piccolo centro a metterci la faccia. Un fallimento politico netto, chiaro, ingiustificabile. La costruzione della democrazia nelle zone dove la mafia è tutto, partiti e Stato, si presenta per quello che è: un osso duro. Facile da addentare sui social, difficilissimo da prendere nella realtà. Perché si tratta di formare una classe dirigente, di essere netti nel no ad ogni legame con la mafia (anche di carattere parentale) di eventuali candidati, si tratta di riconquistare consensi allo Stato in posti dove lo Stato non c’è, e quando c’è fa schifo. Perché si presenta con la faccia di una classe politica ignorante e vorace, e non offre lavoro, prospettive, futuro, giustizia.

E’ un’opera immane, che richiede personalità solide e partiti credibili. A Plati e in Calabria non è stato così. Il Pd è stato giudicato dalle gente un partito non spendibile nella ricostruzione della democrazia e poco credibile nella lotta alla mafia. Sulle spiegazioni successive alla vergognosa ritirata di Platì, stendiamo un velo pietoso. Tace Guerini, balbetta Migliore (sponsor politico della candidata), fugge il segretario regionale del partito, Ernesto Magorno, si rifugia in imbarazzanti non sapevo, Rosi Bindi, eletta in Calabria. Una pena. Nessuna lista del Pd neppure a San Luca (ultime regionali centrosinistra al 69%, Pd 15), e a Rosarno. Qui il Pd aveva il sindaco (fatto dimettere dagli stessi consiglieri del Pd, e alle ultime regionali il centrosinistra raggranellò il 35,49%).

Rosarno è la pagina più vergognosa, perché questo è il paese di Giuseppe Valarioti. Non aveva tweet, né Facebook, Peppino, ma aveva 30 anni quando lo ammazzarono. Era un giovane, come tanti trentenni di adesso che vogliono conquistare la politica. Era un comunista, un costruttore di democrazia in un paese dominato (ieri come oggi) dalle cosche Pesce e Bellocco. Non aveva paura, organizzava il popolo, faceva battaglie. “Se vogliono intimidirci si sbagliano”, disse in un comizio con i microfoni che gracchiavano. Lo uccisero la sera dell’11 giugno 1980 con due colpi di lupara. Oggi i comunisti che non si facevano intimidire non ci sono più. C’è il Pd che a Platì, San Luca e Rosarno non presenta liste. La lotta alla mafia può attendere. Ne parleremo in un prossimo post, o forse in un talk. Il circo continua ed è sempre l’ora dei pagliacci.

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