Musica

Radiohead, ecco “A Moon Shaped Pool”: un ritorno alle melodie per un disco “lunare”, da ascoltare ad occhi chiusi

Atmosferico, crepuscolare, sofisticato ma denso di “musica suonata” e di sentimento vissuto. Incredibile come il loro nono colpo in canna sia riuscito, ancora una volta, a far centro

di Giuseppe Pagano

Ce l’abbiamo. “A Moon Shaped Pool”, nono album dei Radiohead, dalle otto di sera di domenica 8 maggio è pronto per entrare nelle nostre case. A preparare il suo arrivo non solo un’attesa di 5 anni dall’ultimo “The King of Limbs”, ma anche una manovra mediatica di grande impatto, costruita dapprima con i flyer misteriosi inviati ai fan, poi con sito e social svuotati di ogni contenuto, teaser e video in stop-motion del primo singolo “Burn the witch e, infine, la collaborazione con Paul Thomas Anderson per il video “Daydreaming”.

Al momento il disco è stato rilasciato solo in forma digitale, mentre per vinili e CD occorrerà aspettare il 17 giugno. Un’edizione speciale vedrà la luce, invece, nel mese di settembre.
Per chi ha dimestichezza con la discografia non ufficiale dei Radiohead o, soprattutto, con i loro concerti, la tracklist mette insieme alcune vecchie conoscenze. Il primo singolo scelto per ripresentarsi in società, “Burn the witch”, aveva vita propria, con alterne versioni, già dal 2003. L’album contiene anche “True Love Waits“, che accompagna i loro set dal 1995, ma mai portata su disco se si esclude l’EP live “I Might Be Wrong” del 2001. Thom Yorke aveva anche eseguito “Desert Island Disk” durante uno show a Parigi lo scorso anno. “Present Tense” risale invece al 2008. “The numbers” è un’altra canzone di Yorke che si era sentita live nel dicembre scorso ma sotto il nome di “Silent Spring”, mentre “Identikit” e “Full stop” (che nel disco diventa “Ful stop”) erano portate in tour nel 2012. In pieno stile Radiohead, la tracklist di 11 canzoni è organizzata in ordine alfabetico.

Se nel caso di altre band l’accostare pezzi provenienti da epoche diverse ha dato i risultati tipici di un saccheggio, ovvero la disomogeneità, in “A Moon Shaped Pool” al contrario c’è una forte identità unitaria che accompagna tutte le tracce. I pezzi sono stati ripensati e portati a nuova luce, tenuti insieme in un disco “lunare” dove chiudere gli occhi può portare tanto verso il sogno quanto verso il rimpianto (chiedendosi in “Present tense”: “Will all this love have been in vain?”), oppure un crescendo da incubo, come abbiamo ascoltato in “Burn the whitch”.

Rispetto a trascorsi impegnativi come “The King of Limbs” e “In Raibows”, quest’ultimo atto è decisamente più accessibile, soprattutto per gli amanti del mid-tempo. La gratificazione è immediata al primo ascolto. Ma parlando di vita, di identità, di amori recisi, non è proprio un disco destinato alle vanità del chill-out. In questo lavoro c’è un ritorno alle melodie, alle linee vocali più rarefatte di Thom Yorke, e persino alla “linea politica” della band, nonché una rimessa in discussione del primato dell’elettronica. Sezioni di archi, pianoforti, chitarre compaiono massicciamente nel disco, e in pezzi come “The Numbers” trovano una connotazione baroque-folk, mentre Yorke canta “We are of the earth / to her we do return”.

La stessa strumentazione analogica è presente in “Desert Island Disk”, terra d’incontro folk-jazz tra una chitarra di Nick Drake e i Pentangle. La dolcezza devastante di “Glass eyes” si gioca invece tutta nel connubio perfetto tra sezioni di inflorescenze classiche di archi e un pianoforte che intona accordi minori, ma trattato con effetti digitali fino al punto di farlo suonare come se fosse sommerso sott’acqua. Una concessione più ampia all’elettronica si disegna nelle trame vaporose, decisamente ambient, di “Tinker Tailor Soldier”, dove è subito Amnesiac vibe!

Una sorpresa inattesa sono i ritmi da bossa nova di “Present tense” che richiama alla memoria pezzi come “Knives Out”. Il piano è il protagonista della chiusura del disco, affidata a “True Love waits”. L’evoluzione di questo pezzo testimonia quanto bene abbiano fatto i cinque di Oxford a perseguire la via del perfezionismo, riportando alle nostre orecchie una bellezza e una sospensione nel refrain “Don’t leave, don’t leave” che non si sentivano dai tempi di “Kid A”. Potremmo proprio dire che questo è un “Kid A” degli anni Dieci. “A Moon Shaped Pool” non è un compendio di ispirazioni passate, ma un ritorno a casa dopo anni di bulimia artistica. Atmosferico, crepuscolare, sofisticato ma denso di “musica suonata” e di sentimento vissuto. Incredibile come il loro nono colpo in canna sia riuscito, ancora una volta, a far centro.

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