Agli indecisi se abbonarsi al Fatto Social Club, voglio raccontare la mia storia.
L’estate del 2009 io ero tra il pubblico del Fuori Orario di Gattatico. Ero quella nell’ultima fila in piedi e con la faccia scettica. Avevo 22 anni, ero con i miei amici e sul palco c’erano quelli famosi: vedi Peter Gomez, Marco Travaglio e Antonio Padellaro. Parlavano di un giornale nuovo, dell’informazione libera, di Berlusconi. Poi una frase: “Se ci sono giovani giornalisti tra il pubblico, mandateci il curriculum“. Me lo ricordo bene perché io sono scoppiata a ridere. Valentina mi ha dato una gomitata e io le ho detto: “Certo, come no”.
Che quei tre facessero sul serio non l’ho mai creduto, perché non ho mai creduto che potessi avere un futuro come giornalista in Italia. Ho iniziato a sognare davvero questo lavoro nella casa della Gazzetta di Reggio. Lì ho incontrato i primi maestri, ma i 4 euro lordi al pezzo ammazzavano qualsiasi speranza. Così ho preso un treno per Parigi un giorno di ottobre. Ho pensato che bisognava fare in fretta e andare via, perché il futuro di sicuro era da un’altra parte. Ho studiato all’estero per tre anni, ho preso gli aerei come fossero un treno regionale e ho avuto paura di essere condannata a starmene lontano da casa per sempre. Quando è stato il momento di diventare grande, ho cominciato a mandare decine di curriculum: alle offerte e ai colloqui della Francia, rispondeva il silenzio dell’Italia.
Poi ho scritto a Emiliano Liuzzi che allora si occupava della sezione Emilia Romagna del sito del Fatto Quotidiano. Dopo due giorni mi ha convocato, ha ascoltato molto sommariamente (credo al massimo due parole) quello che avevo da dire e mi ha chiesto: “Idee?”. Gli ho detto: “Ma io vivo in Francia”. Mi ha risposto: “Se io avessi la tua età e volessi fare questo lavoro, starei a bussare al Fatto ogni giorno”. Dopo sei mesi scrivevo da Bologna, dopo due anni Peter Gomez mi ha offerto il praticantato a ilfattoquotidiano.it. Quando l’ho comunicato all’Ordine dei giornalisti me l’hanno fatto ripetere due volte.
La mia scuola di giornalismo è stata (ed è ancora) questa qui. Una stanza, undici persone e dodici ore al giorno. Una famiglia a cui ogni tanto bisogna ricordare che quello che fa è un lavoro e non solo una passione, un gruppo che sta al passo dei più grandi con nemmeno la metà delle forze, un direttore con la porta sempre aperta e che si fida di chi ha scelto. Le chance a tutti, poi spetta a te giocartele. Ilfattoquotidiano.it non ha volti noti, ma ha gente di cuore (troppo) che cura ogni dettaglio, che dà il massimo e che chiede il massimo in cambio. A volte si sbaglia, allora arriva Gomez che dice: “Scriviamolo, scriviamolo che abbiamo fatto un errore”. Perché la trasparenza e l’onestà con i lettori vengono prima di tutto. Poi le seconde domande, in ogni caso e sempre, soprattutto ai politici. E le verifiche, che devono essere fatte in fretta, ma che sono quello che ci distingue dalle bestie nell’informazione che ormai va troppo veloce.
Sette anni dopo io ripenso spesso a quel pomeriggio al Fuori Orario. Perché io non ci credevo ma quelli del Fatto Quotidiano, i Gomez, i Padellaro e i Travaglio dicevano sul serio e io, che ero solo una precaria come tanti altri, ho avuto un’opportunità grazie a loro. Hanno creato una cosa che in Italia non esiste e oggi come allora la differenza possono farla solo i lettori.