Mentre monta l'allarme per l'inquinamento dell'acqua in Veneto, i dati raccolti dal medico del lavoro dell'azienda accusata - la Miteni di Trìssino - dimostrano concentrazioni fino a 91.900 nanogrammi della sostanza considerata cancerogena. Contro i 4 nanogrammi di chi non è esposto. "Ma nessuna evidenza di patologie". L'azienda: "Non siamo noi i responsabili"
Il livello più alto in assoluto di Pfas nel sangue lo raggiunge un lavoratore della Miteni: 91.900 nanogrammi per millilitro misurati nel 2002, a fronte di una media nella popolazione generale di 4. Non ci sono paragoni. Nemmeno con i lavoratori statunitensi della DuPont, in Ohio, esposti per anni ai composti perfluoroalchilici, utilizzati per impermeabilizzare materiali come il goretex e il teflon. Il record mondiale di Pfas nel sangue, “possibili cancerogeni” che hanno contaminato in Veneto almeno 60 mila persone, lo raggiungono i lavoratori della Miteni che per trent’anni hanno lavorato quelle sostanze nello stabilimento di Trìssino, in provincia di Vicenza. Il dato emerge in uno studio firmato nel 2009 dal professor Giovanni Costa e dai ricercatori Samantha Sartori e Dario Consonni dal titolo “Thirty years of medical surveillance in perfluooctanoic acid production workers”, pubblicato sulla rivista scientifica Joem.
In particolare, Costa (responsabile sanitario dell’azienda fin dai tempi della Rimar) ha conservato per trent’anni, dal 1978 al 2007, i dati derivanti dalla sorveglianza sanitaria dei lavoratori che producevano Pfoa, l’acido perfluoroottanoico della famiglia Pfas, nello stabilimento di Trìssino e hanno assorbito le sostanze “per via orale, attraverso la pelle o l’inalazione”. I risultati mostrano una contaminazione senza precedenti, con livelli di Pfas nel sangue che vanno da 200 a 47.040 ng/ml. Numeri ben superiori a quelli relativi agli operai della DuPont, negli Usa, uno dei più gravi inquinamenti da Pfas noti a livello internazionale. Secondo uno studio del 2007, le concentrazioni di sostanze perfluoroalchiliche nel sangue dei lavoratori americani non superavano i 9.550 ng/ml.
La ricerca di Costa (medico del lavoro della Miteni) non ha riscontrato “evidenze cliniche di problemi o malattie specifiche” negli operai dello stabilimento vicentino, anche se l’articolo parla di “un’associazione significativa del colesterolo totale e dell’acido urico con i livelli di Pfoa nel siero” e di una “probabile interferenza con il metabolismo intermedio”. L’azienda Miteni, dal 2009 di proprietà della holding Internatonal Chemical Investors Group (Icig), esclude ogni responsabilità per l’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche in Veneto: “La presenza di Pfas non può essere dovuta alla falda dello stabilimento Miteni – ha fatto sapere la fabbrica chimica – e al sistema di scarichi consortili sono collegate centinaia di aziende del territorio”. L’azienda informa inoltre di “non produrre più Pfos e Pfoa dal 2011”.
Ma l’Arpa Veneto, in una comunicazione del luglio 2013 inviata anche all’autorità giudiziaria, evidenziava “la rilevante presenza di sostanze perfluoro-alchiliche allo scarico industriale della ditta Miteni Spa”, chiedendo tra l’altro di “migliorare il sistema di filtrazione delle acque reflue produttive” della Miteni, e di “eliminare nel breve periodo dal ciclo produttivo le sostanze Pfoa e Pfos residuo in quanto, da letteratura, presentano i maggiori impatti”. Quel che è certo, stando a quanto emerso dai dati raccolti dallo stesso medico della Miteni, è che negli anni in cui l’azienda è passata nelle mani di grandi gruppi come Rimar (Marzotto), Enichem-Mitsubishi (’88), e Mitsubishi Corporation (’96), gli operai dello stabilimento vicentino hanno avuto le più alte concentrazioni registrate di Pfas nel sangue.