Cinema

Torino Gay & Lesbian Film Festival, il leitmotiv dei vincitori è ancora l’accettazione sociale

Matrimoni, genitori gay, adozioni, gestazione per altri? Sì ok, ma il problema fondamentale resta quello dell’accettazione degli omosessuali (delle persone Lgbt) da parte dei loro genitori, sia quando questi ultimi rappresentano in pieno l’ambiente sociale di vita dei figli, sia quando rappresentano solamente le radici. Senza volerlo – né io come spettatore né la regia del festival come scelte – questo è il leit motiv dei bei film che ho visto nella 31 esima edizione del Torino Gay & Lesbian Film Festival, uno degli appuntamenti internazionali più importanti ed aggiornati del genere.

Nel secondo decennio del ventunesimo secolo si torna con varietà e ricchezza di sfumature sul faticoso e conflittuale percorso che porta (per lo più) i genitori ad accettare l’orientamento dei figli. Nella fiaba metropolitana berlinese Wo willst du Hin Habibi? il giovane turco berlinese Ibo, nelle sue peripezie amorose tra biondini gay un po’ melensi e un muscoloso delinquentello “eterosessuale”, si deve dichiarare al padre. Soprattutto dopo che la sorella ha spifferato che lavora in un sexy shop gay. Non mancano le dichiarazioni politiche (“abbiamo un sindaco e un ministro degli esteri gay e non posso esserlo io?”). Il padre, turco, lo caccia di casa, ci mette un po’ ad elaborare ma poi si riconcilia partecipando all’inaugurazione del chiosco di polpette messo su da Ibo e dall’amico.

Il premio del pubblico al Festival è andato al film irlandese girato all’Avana, Viva. Un melò recitato benissimo, con una città vecchia affascinante. In questo caso il problema non è neanche tanto l’orientamento omosessuale. Il padre ex pugile malconcio tornato dal carcere non accetta che il figlio diciottenne si travesta e canti come drag queen. Glielo vieta. Il figlio si fa carico del padre malato ma non molla la presa fino a quando con commozione generale non riesce a convincerlo e a riceverne anzi i complimenti durante uno spettacolo.

Nel film che ha vinto il Festival, ovvero il Premio della Giuria, La belle saison di Catherine Corsini, l’amore scoppia a Parigi nei primi anni Settanta tra Delphine, figlia di contadini di un villaggio, e l’insegnante femminista parigina Carole. Ma in questo caso la madre contadina non ce la fa ad accettare la situazione, quando si accorge che è omosessuale. Solo in questo caso.

In Stonewall del regista Emmerich la sorellina del giovane Danny, uno dei protagonisti della prima rivolta gay nel 1969, riesce a convincere la madre ad accompagnarla dal paesino di provincia a New York, per assistere alla prima marcia gay. Tornando al presente in Fair Haven (Usa 2016) assistiamo all’estremismo conservatore di certa provincia Usa: figlio diciottenne di contadini sottoposto a terapia di riabilitazione cristiana per farlo tornare eterosessuale. Ma lo stesso padre che ce lo aveva mandato (e che non voleva passare al biologico nel suo frutteto), finisce per scusarsi di non averlo compreso. E persino nel film molto sessuale Tung lau hap woo del regista Scud (Hong Kong) c’è una mossa risolutiva della madre del partner studente, per far scarcerare l’insegnante accusato di sesso con minore (minore di anni 21, una desueta legge locale).

Insomma tutti pronti per l’Agedo, la fiorente Associazioni dei Genitori di Omosessuali, che di recente a Milano ha accennato alla possibilità di muoversi anche per la Tunisia. Alla vigilia dell’approvazione delle unioni civili, insomma, torniamo a ricordarci dell’importanza dell’atteggiamento di mamma e papà.