E’ atteso per oggi il voto del Senato sull’impeachment di Dilma Rousseff, nonostante la presidente del Brasile abbia presentato un appello dell’ultimo minuto davanti alla Corte Suprema per bloccarlo. La votazione avrà regolarmente luogo, nonostante gli accadimenti delle ultime 48 ore. Il 10 maggio Waldir Maranhao, presidente ad interim della Camera, che il 9 aveva annullato la votazione dei deputati dello scorso 17 aprile favorevole alla messa in stato di accusa della ‘Presidenta‘, ha fatto marcia indietro revocando la decisione con una lettera al presidente del Senato, Renan Calheiros. Maranhao aveva in precedenza informato i vertici del suo Partito popolare (Pp, di destra), che avevano minacciato di espellerlo se avesse ostacolato l’impeachment. Il procedimento prosegue pertanto nei tempi stabiliti e l’11 maggio cominceranno le operazioni di voto, che dureranno circa 20 ore. Il risultato dovrebbe pertanto slittare a giovedì.
Come si è arrivati al voto? Il 17 aprile è stato approvato alla Camera dei Deputati brasiliana il processo di impeachment della Presidenta della Repubblica Dilma Rousseff (Partido dos Trabalhadores – PT) condotto dal Presidente della Camera Eduardo Cunha (Partido do Movimento Democrático Brasileiro – PMDB): 367 voti a favore, 137 contro, 7 astensioni e 2 assenti. La votazione non è stata un fulmine a ciel sereno, ma l’esito di un lungo processo cominciato immediatamente dopo le elezioni presidenziali del 2014. Di cosa è stata accusata la Presidenta? Perchè una buona parte della popolazione e della sinistra brasiliana parla di “golpe“?
I tentativi di cacciare dalla scena politica Dilma sono cominciati nell’ottobre 2014. Il senatore Aécio Neves (Partido da Social Democracia Brasileira -PSDB), candidato sconfitto alle elezioni, comincia immediatamente a denunciare “l’esistenza di un’organizzazione criminale” legata al gruppo vincitore. L’opposizione accusa Dilma e il suo entourage di essere direttamente coinvolti nei crimini emersi dall’indagine Lava-Jato, la Mani pulite brasiliana. L’indagine stava portando alla luce un sistema criminale che consisteva nel truccare gare d’appalto per opere pubbliche favorendo imprese che, a loro volta, avrebbero trasferito parte del sovrafatturato ai politici.
La Lava-Jato è il combustibile dell’impeachment e ha permesso a gruppi oppositori di articolare le proprie azioni con quelle dei media – la Rete Globo– e del potere giudiziario brasiliano (Ministério Publico Federal e Superior Tribunal Federal – STF). In nome della lotta alla corruzione e sotto il comando del giudice Sergio Moro, la Lava-Jato ha infiammato gli animi di una parte del popolo brasiliano contro il PT. Dilma, tuttavia, non viene citata in nessun documento come attore coinvolto nella rete criminale individuata dall’indagine Lava-Jato. La costituzione brasiliana prevede che non si possa avviare un processo di impeachment senza che ci siano prove di crimini comuni o di responsabilità.
In assenza di prove contro la Presidenta, nel giugno 2015, l’opposizione inoltra alla Corte dei Conti federale di Brasilia (Tribunal de Conta da União) l’accusa per quella che fu denominata “pedalata fiscale”. Dilma viene accusata di aver usato denaro delle Banche Nazionali per finanziare programmi sociali, garantire il pagamento degli assegni di disoccupazione etc, misure che furono promosse anche dal vice-presidente Michel Temer, possibile sostituto provvisorio alla presidenza e indagato nell’inchiesta Lava-Jato.
Secondo l’opposizione, Dilma avrebbe avuto una responsabilità fiscale nella misura in cui il governo avrebbe superato la spesa pubblica prevista dalla legge di bilancio. È dal 2000 che le cosiddette pedalate fiscali vengono praticate ordinariamente dal governo federale e attualmente 16 governatori dei 27 Stati brasiliani e centinaia di sindaci in tutto il Brasile le praticano.
Nell’ottobre del 2015 la Corte dei Conti, per la prima volta dal 1937, non ha approvato il bilancio presentato dal governo Dilma, fornendo il pretesto per avviare il processo d’impeachment.
In questo stesso periodo il nome del Presidente della Camera Eduardo Cunha era già stato citato più volte nei documenti nell’indagine Lava-Jato e accusato di evasione fiscale con conti non dichiarati all’estero per circa 5 milioni di dollari.
Il 3 novembre viene approvata dal Consiglio di Etica della Camera l’apertura di un processo di indagine a carico del Presidente. Il 2 dicembre Cunha accetta una delle richieste di impeachment poche ore dopo che alcuni deputati del PT avevano votato contro di lui. Questi voti avrebbero permesso a Cunha di essere giudicato per violazione del decoro parlamentare, ma ad oggi il Presidente non è ancora stato giudicato dal STF né allontanato nonostante nell’aprile del 2016 siano emerse nuove prove del suo coinvolgimento con i crimini della Lava-Jato.
Il 4 marzo 2016, in compenso, l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, Lula, è stato obiettivo di un’operazione della Polizia federale. L’ex presidente è stato oggetto di un accompagnamento coattivo ordinato dal giudice Moro, nonostante Lula non si fosse mai rifiutato di collaborare: lo scopo era quello di portare l’ex presidente a deporre in merito a presunte relazioni con alcuni impresari arrestati. “Un atto di forza” secondo alcuni ministri del STF, “un sequestro” per l’ex presidente dell’ordine degli avvocati di Rio de Janeiro.
Nominato come ministro il 17 marzo – per proteggerlo dall’arresto, secondo l’opposizione, per riarticolare la base del governo dato l’alto indice di gradimento mostrato dai sondaggi, secondo Dilma – Lula viene sospeso il giorno successivo. Lo stesso 17 marzo viene votata una commissione di 65 membri con l’obiettivo valutare la richiesta di impeachment. L’11 aprile, con 39 voti a favore e 27 contro, la commissione approva la richiesta di impeachment.
Ora si aspetta la votazione in Senato che approverà o meno la mitragliata di sì gridati alla Camera anche da parlamentari (tra cui i già citati Aécio Neves, Michel Temer e Eduardo Cunha) accusati di corruzione e evasione (circa il 60%).
di Laura Petracchi e Daniel Delatin Rodrigues