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I ‘Briganti’ di Librino, i rugbisti che inseguono la meta nel quartiere dei clan

«La prima mischia in un parcheggio in viale Moncada. Era il 2 febbraio 2006». Piero Mancuso – fondatore e responsabile area tecnica della Asd Briganti Onlus – quel giorno lo ricorda bene. Le prime botte da orbi e le prime strette di mano tra le case popolari di Librino, il quartiere «famigerato» a sud di Catania, progettato negli anni Settanta dall’archistar Kenzo Tange che da città giardino è diventato simbolo di criminalità e degrado. Nello stesso quartiere in cui nel 1995 venne fondato il centro sociale Iqbal Masih, dedicato all’eroe-bambino pakistano ucciso dalla cosiddetta “mafia dei tappeti”, a soli 12 anni, perché lottava contro il sistema dello sfruttamento minorile. «C’erano gli stessi problemi di oggi, con una continua assenza di istituzioni e servizi ai cittadini. Tanti volontari si sono impegnati per costruire una realtà di riscatto» spiega Piero che proprio ventuno anni fa ha fondato anche il centro Iqbal.

È un agronomo che dedica il suo tempo ai ragazzi di Librino, insieme a Mario La Rosa, Angelo Scrofani e il presidente Stefano Curcuruto, «il rugby è uno sport che unisce alla dura fatica, la disciplina, la tecnica e la tattica, unita alla necessità di fidarsi degli altri per avanzare. Le persone che si dedicano ai Briganti sono decine…». Così dopo qualche tempo, tra macchine rubate e palazzi che cadevano a pezzi, gli allenamenti sono proseguiti in un campo abbandonato, proprio accanto all’attuale San Teodoro Liberato, dove oggi giocano i Briganti. «Il campetto, così come il nostro attuale impianto sportivo, è stato costruito come parte di un unico grande centro, di proprietà del comune di Catania, per le Universiadi del 1997». Era stato utilizzato per pochi mesi da una scuola calcio affiliata alla squadra della città che fin da subito manifestò però problemi organizzativi, «così il 25 aprile 2012 abbiamo ‘occupato’ la struttura. Nel corso degli anni la Federazione Rugby ci ha dato una mano, consentendo di svolgere le partite sul campo ancora in via di assegnazione da parte del Comune».

Furono anche raccolte oltre 7000 firme per stimolare un qualsiasi intervento istituzionale che non arrivò mai, «ci è stato infatti assegnato ufficialmente solo nel maggio del 2015». Un campo da gioco che però è più una distesa di argilla, soprattutto in inverno, quando il terreno fatica a smaltire l’acqua piovana e diventa inagibile. Ecco perché ora l’obiettivo è quello di dare al San Teodoro un prato vero, «può diventare un punto di riferimento per l’intera città, non solo per il quartiere». E la raccolta fondi è già partita, servono 100mila euro. «La campagna ‘i Briganti si meritano un prato’ è stata lanciata il 9 maggio scorso. Per ora sono stati raccolti 5.199 euro, attraverso bonifici, iniziative locali, e la nostra pagina di crowdfunding».

Nel corso di questi anni l’attività de “I Briganti” è cresciuta senza sosta ed oggi si contano ben 300 atleti, a partire dalla under 10 fino ai giocatori della squadra seniores, che milita nel campionato di C1 nazionale, «c’è anche una squadra femminile, le brigantesse». La gente del quartiere collabora insieme proprio come una vera squadra di rugby per raggiungere la meta, «penso alla Librineria, la prima biblioteca popolare della zona con i volontari che organizzano attività ricreative e doposcuola. E poi agli orti sociali da coltivare». Terreni a pochi passi da viale Moncada, dove resiste ancora il Palazzo di Cemento per anni roccaforte dei clan e ora in attesa dei lavori di riqualificazione. «Ma il giro di spaccio si è spostato di fronte».

Foto di Rachele Tosto e Fabio D’Alessandro