“Ho deciso di lasciare il mio posto ad Harvard perché credevo nel mio progetto e volevo lavorare per quello”. Alberto Pepe vive a New York, ha 36 anni, e viene da Manduria. Nel 2013, dopo ben tre rifiuti di borse di ricerca da parte dell’Università di Harvard, ha lasciato la sua posizione come post doc per sviluppare la sua start up in maniera del tutto autonoma. È così che è nata Authorea, la prima piattaforma aperta per scienziati, ricercatori, professori e studenti, con l’obiettivo di “diventare la banca dati di studi accademici più grande al mondo”.
Si definisce un “cervello in viaggio, e non in fuga” Alberto. Fin da bambino appassionato di lingue, viaggi ed astronomia, ha lasciato l’Italia alla fine del liceo. Direzione Londra, corso di fisica ed astronomia. Il suo è un curriculum di tutto rispetto: laurea in astrofisica e scienze dell’informazione alla University College of London, dottorato a Ucla (Los Angeles) e post doc ad Harvard. In mezzo, numerose collaborazioni con enti prestigiosi, come il Cern di Ginevra, il Cineca, a Bologna, la borsa Marie Curie e la Nasa.
Per tre volte ad Harvard non riesce ad ottenere la borsa di studio. “E’ stata dura accettarlo: credevo che la mia idea fosse valida”
Ed è proprio grazie ad una borsa di studio della Nasa che Alberto arriva ad Harvard, dove diventa post doc in astrofisica presso l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. “L’ambiente era davvero di altissimo livello, ma molto competitivo”, ricorda. Per ben tre volte, con il sostegno del suo professore e del suo gruppo di ricerca, Alberto tenta di sviluppare il suo progetto grazie ad una borsa di ricerca, senza risultati. “È stata dura accettarlo, perché credevo che la mia idea fosse veramente valida”. E così decide di correre da solo. Lascia il suo post doc per dare vita alla start up. “Ho cominciato a pensare di creare Authorea come un’entità separata, una vera e propria società, cercando dei finanziamenti privati”.
Authorea è una piattaforma di collaborazione per ricercatori, scienziati, studenti e chiunque sia interessato alla scrittura di testi accademici. Ha lo stesso sistema di Microsoft Word, ma funziona interamente online: è collaborativo, basato su un solido sistema di version control, ed ha numerose funzionalità create appositamente per i contenuti accademici (citazioni, referenze, equazioni, tabelle, dati). “Abbiamo creato Authorea perché ne avevamo innanzitutto bisogno noi, ma anche perché abbiamo visto una grossa opportunità: il mondo dell’editoria scientifica non è riuscito a innovarsi con l’avvento del web. Authorea può davvero essere considerata un’innovazione capace di capovolgere il modo in cui si scrive e si condivide la scienza”, spiega Alberto.
“Ho cominciato a pensare di creare Authorea come un’entità separata, una vera e propria società, cercando dei finanziamenti privati”
Nei mesi iniziali ad Authorea lavorano in due: insieme ad Alberto c’è Nathan Jenkins, californiano, e socio fondatore. Poco tempo dopo si è aggiunto Matteo Cantiello, astrofisico, di Cecina, con un post doc all’Università della California. Per un anno sono rimasti in tre. Poi, nel settembre del 2014, è arrivato il primo finanziamento da 650mila dollari. “Così abbiamo assunto il nostro primo programmatore, Deyan Ginev”.
Nel gennaio 2016 la piattaforma ha ricevuto un ulteriore finanziamento dalla Lux Capital, da un milione e mezzo di dollari. Ad oggi, con Alberto lavorano 8 persone. “Come spenderemo i soldi ricevuti? Investendo nella forza lavoro – risponde il fondatore.– Assumiamo ingegneri, programmatori e personale nel marketing”. Intanto continua il tour per presentarla nei College statunitensi: dopo l’Università di New York a marzo è toccato a quella di Los Angeles: “La nostra missione è rendere la scienza più aperta, fruibile e trasparente”.
La start up ha ricevuto oltre un milione di dollari di finanziamento. “Come li spenderemo? Investendo nella forza lavoro”
Alberto torna spesso in Italia, e ha un legame molto forte con il suo Paese. “Siamo indietro? E su cosa esattamente? – osserva. – Sono molto ottimista sul presente e sul futuro dell’Italia. Certo, da noi avremmo fatto molta più fatica a ricevere tutti questi finanziamenti, ma se si parla di scienza e ricerca posso dire che godiamo di un’ottima reputazione internazionale”. Quello che potrebbe rendere l’Italia davvero più competitiva, per Alberto, è “destinare ancora più fondi alla ricerca, e soprattutto pagare stipendi più alti: molti dottorandi vivono alla soglia della povertà”.
Quando torna in Puglia Alberto si impegna nel lavoro in campagna insieme a suo padre, a Manduria. “Mi trasmette il suo know-how”, sorride. Evita le etichette della fuga di cervelli e dei rientri forzati. “Se l’Italia saprà darmi un contesto e delle condizioni favorevoli ci vivrò volentieri”, spiega. Prima di concludere: “Mi piacerebbe vedere più opportunità di lavoro nel Mezzogiorno, ma non sono contrario agli spostamenti. Vivere altrove, o all’estero, fa bene. In fondo siamo fatti per muoverci”.