Otto anni per concorso esterno in associazione mafiosa a Nevio Coral, ex sindaco Pdl di Leinì (Torino), Comune sciolto per mafia. Otto anni anche per associazione mafiosa a Bruno Trunfio, ex assessore Udc di Chivasso. Invece nessun voto di scambio tra politica e mafia per Fabrizio Bertot, ex sindaco di Rivarolo (commissariato per mafia) alle Europee del 2009, ma voto di scambio semplice, motivo per cui la Corte d’appello dovrà valutare di nuovo i casi dell’ex segretario comunale Nino Battaglia e dell’imprenditore Giovanni Macrì. È la decisione della sesta sezione penale della Corte di cassazione che stasera (12 maggio) ha posto un altro punto fisso nel procedimento “Minotauro”, che ha rivelato le infiltrazioni della ‘ndrangheta nella provincia di Torino. I giudici hanno condannato 23 persone, mentre venti di loro sono state assolte. Sommando queste a quelle del processo abbreviato, la Suprema corte ha condannato in totale 70 persone per la maxi-inchiesta della Direzione distrettuale antimafia e dei carabinieri.
Ci sono voluti meno di cinque anni per andare dagli arresti alla condanna definitiva. Era l’alba dell’8 giugno 2011 quando i carabinieri di Torino hanno arrestato 142 uomini, la maggior parte dei quali indagata per associazione a delinquere di stampo mafioso dediti al traffico di droga, al controllo di bische clandestine, alle estorsioni e non solo. Era l’operazione di “Minotauro”, che vedeva indagati in totale 180 persone, molte delle quali raggruppato in nove “locali” (gruppi con una base territoriale), un “crimine” (il braccio armato) e una locale “bastarda” (non riconosciuta dai vertici calabresi della ‘ndrangheta).
Tra gli indagati risultavano anche alcuni politici, proprio come Coral, mentre altri erano stati ripresi dalle telecamere piazzate dai carabinieri fuori dal bar Italia, base del boss Giuseppe Catalano e luogo di riunioni della ‘ndrangheta. Non solo. Dalle intercettazioni erano emerse i contatti con altri politici contro i quali si era scagliato anche l’allora procuratore capo di Torino Gian Carlo Caselli durante la requisitoria denunciando i loro silenzi e il loro opportunismo. Questi legami avevano portato a delle infiltrazioni nei comuni, come quelli di Leinì e Rivarolo, sciolti per mafia, e di Chivasso, mai commissariato perché il sindaco eletto coi voti inquinati dalla malavita si dimise prima.
Poco più di un anno fa, il 17 febbraio del 2015, sono diventate definitive le prime 47 condanne contro questi ‘ndranghetisti del Nord. Una sentenza che ha confermato il radicamento dell’organizzazione criminale nel Torinese con la propria autonomia, con l’utilizzo della “forza intimidatoria” che ha creato una “diffusa omertà” tra le vittime. Inoltre, importante, i giudici della Corte di Cassazione avevano certificato l’attendibilità dei due “Rocco”, i pentiti Rocco Varacalli e Rocco Marando, che furono ritenuti inattendibili dal tribunale di Torino nella sentenza di primo grado. Una sentenza talmente importante in questa materia da essere utilizzata, insieme a quella sull’operazione “Infinito” di Milano e quella “Crimine” di Reggio Calabria, dai pm dell’indagine Aemilia per sostenere il radicamento della ‘ndrangheta nella loro regione.