Nelle ultime settimane in Italia, nell’ambito della canzone di qualità, d’arte o d’autore che dir si voglia, è accaduta una cosa molto importante: il disco Una somma di piccole cose di Niccolò Fabi, pubblicato lo scorso 22 aprile e fatto in completa solitudine, ha raggiunto il primo posto in classifica; il tour è fittissimo di date e – a meno di una settimana dalla partenza – diverse sono già sold-out. Insomma: un disco che ha un’anima agli antipodi con i meccanismi commerciali e pubblicitari, che si propone in maniera minimalista (in realtà ha una struttura poderosa, ma almeno non all’apparenza), di un autore non precisamente avvezzo a vendite mastodontiche, che parla di Filosofia agricola, che dice le cose in maniera spesso sussurrata, arriva come una Cenerentola raffinata e fa a pezzettini Renato Zero, Jake la Furia e Francesco Renga. Com’è potuto accadere? Vediamo un po’.
Negli anni Niccolò Fabi ha “dissodato il terreno” attraverso spettacoli molto intimi, interviste-concerto o mini-tour in solitaria in giro per l’Italia, che hanno accorciato le distanze tra gli estimatori e l’autore di canzoni.
Ora quella voce risulta preziosa. Non credo c’entri la familiarità, attenzione: al netto di qualunque tipo di fanatismo – che qui non ci interessa trattare –, nel nostro profondo agli artisti non chiediamo di essere familiari; quando a sera chiudiamo dietro di noi la porta di casa, nessuno spera di ritrovarsi Fabi sul divano che canta Costruire. No, a loro chiediamo l’esclusività del “saper fare”, la particolarità di saper tradurre il mondo e la propria visione delle cose in una forma autentica, diversa dalla realtà e che anzi ce ne faccia percepire i lati meno consueti, per padroneggiarla meglio e forse addirittura pensare di poterla capire. Nella loro espressione cerchiamo di rintracciare la natura armonica, esclusiva e consequenziale del rapporto tra la capacità creativa e l’opera finita: questo è ciò che descrive la cifra della loro autenticità.
Ai cantautori chiediamo di ripetere il miracolo della creazione artistica a ogni nuova canzone: Fabi ci ha aperto la porta della sua officina, ci ha mostrato gli strumenti e ha tratteggiato i contorni della coerenza tra la sua visione del mondo e il modo di cantarlo.
Quella voce ora ci è preziosa, perché è diventata veicolo di una maestranza toccata con mano, di un’eccellenza irripetibile e inimitabile; per una comunità di riferimento, è diventata veicolo da difendere e valorizzare. Questo è l’immenso valore civile dell’arte “canzone”.
E i brani di Fabi parlano di un impegno mai “dottrinale”, l’impegno di prendersi le proprie responsabilità: parlano di un patto interpersonale. Quella di Fabi è canzone impegnata, non nel più bieco senso ideologico, ma in quello civile, che per di più permette di fare la spola tra l’io e il noi. I temi contenuti nel disco “Una somma di piccole cose” vanno dall’estremo intimismo di Facciamo finta, alla dichiarata orizzontalità collettiva di Ha perso la città: “È solo un uomo quello di cui parlo/ del suo interno come del suo intorno”, recita il brano Solo un uomo del 2009, estremamente significativo per descrivere la poetica del cantautore romano. “Una somma di piccole cose” è un disco sull’importanza delle parole, sia quando queste devono formare artisticamente concetti e canzoni, sia della parola nel senso di “parola data”, da rispettare e da difendere. Estetica ed etica che si fondono in una poetica.
Due settimane fa, dunque, Una somma di piccole cose è stato il disco più venduto in Italia. Sotto questi aspetti, il suo successo fa ben sperare, perché testimonia prima di tutto l’aderenza e l’interesse dei suoi estimatori nei confronti di questi temi. E non è poco.
Questo, soffermandoci al punto di vista artistico, è un aspetto che già rilevai commentando la fortuna del tour Fabi-Silvestri-Gazzè, dove il clamoroso successo di pubblico per un tipo di canzone di certo non ruffiana, non furbescamente pop, raffinata, faceva riflettere sul reale buongusto di una larga fetta di pubblico: definii quel tour epocale, perché alcuni dei cantautori più rappresentativi della propria epoca dimostravano che i numeri in Italia si possono fare anche con la qualità.
Come ho cercato di far capire in questo scritto, a guardare da vicino la storia artistica di Niccolò Fabi c’è da pensare che niente venga a caso. Ci sono però tanti ottimi artisti in Italia che faticano a percorrere strade che portino ai numeri che la loro arte meriterebbe: da Pino Marino a Max Manfredi, da Marco Ongaro a Isa, Federico Sirianni o Filippo Gatti. È sostanzialmente ancora inesistente in Italia un circuito di canzone d’autore che sappia valorizzare le proprie eccellenze, in cui sia vagamente consequenziale il riconoscimento di pubblico di fronte a qualcosa di valido. Ma il pubblico c’è. L’esempio di Niccolò Fabi può servire a far capire che esiste qualcosa di diverso al di fuori dal tritacarne del talent. No, decisamente non è poco.