Finalmente le unioni civili sono state approvate dal Parlamento italiano. Dopo un percorso parlamentare tortuoso e travagliato e dopo un processo culturale lungo un trentennio, il nostro paese da grigio – secondo quella che è l’ormai tradizionale carta tematica che segna in rosso i paesi omofobi e in blu quelli in cui c’è il matrimonio egualitario – si è colorato di azzurro. L’Italia, come Germania, Austria, Grecia e altri paesi ancora, riconosce così i diritti basilari delle coppie gay e lesbiche, simili a quelli del matrimonio. Arrivati a questo punto, credo che occorra vedere la data di ieri da tre punti di vista, tra loro molto diversi, ma indicativi dello stato d’animo che percorre il paese. Mi riferisco, rispettivamente, alle reazioni della comunità arcobaleno, della militanza gay e lesbica dentro il Pd e, infine, del fronte antigay. Andiamo per ordine.

Contrastanti i sentimenti dentro la gay community: «Oggi è un giorno storico per il nostro Paese ma le nostre famiglie non possono festeggiare: la legge sulle unioni civili» dichiara Marilena Grassadonia, presidente di Famiglie Arcobaleno «non tutela infatti i nostri figli, il loro diritto a vedersi riconosciuti entrambi i genitori. Quale padre e quale madre parteciperebbero mai a una festa in cui i loro bambini non sono invitati?».

Posizione simile a quella di Claudio Rossi Marcelli, che dal suo blog su Internazionale, scrive: «In Italia, anche dopo l’entrata in vigore della legge sulle unioni civili, se un bambino ha due genitori dello stesso sesso ancora non godrà delle stesse tutele giuridiche di tutti gli altri». Sembra essere comunque diffusa l’idea che l’approvazione del ddl Cirinnà colmi un vuoto giuridico, seppure a caro prezzo.

Del tutto entusiasti, invece, i commenti della compagine omosessuale del Pd. Ivan Scalfarotto, sul suo sito, già qualche giorno fa approfittava dell’inizio dei lavori alla Camera per trasformare l’approvazione di questa legge in un panegirico per il presidente del Consiglio, con qualche frecciatina al movimento Lgbt italiano, con cui il vice-ministro non ha mai avuto uno splendido rapporto. Paola Concia, in un’intervista alla Stampa, dichiara: «Non capisco come si possa non festeggiare, per me inizia una delle settimane più belle della mia vita. La nuova legge cambierà la vita di tante donne e uomini. […] Mi farebbe piacere vedere le piazze riempirsi per sottolineare questo momento storico».

Le elezioni comunali, a ben vedere, sono dietro le porte e i sondaggi non sono del tutto favorevoli a Renzi. E dopo un pacchetto di provvedimenti – Jobs act, Buona scuola, riforme costituzionali – che hanno scontentato il tradizionale elettorato di sinistra, l’approvazione delle unioni civili diventa un tentativo di riagganciarsi con quella fetta di società civile che non si riconosce più nel Pd.

Di tenore del tutto opposto, sono invece le esternazioni dei vari agitatori dei passati Family day. Ricordiamo tutti e tutte con molto affetto i rappresentanti di Manif pour tous Italia, Filippo Savarese in testa: grazie alla loro piazza, scrivevano trionfanti sui social, non si sarebbe mai fatta nessuna legge. Jacopo Coghe, ieri ha poi postato un’immagine del logo della sua associazione con la fascia a lutto.

Costanza Miriano minacciò di separarsi, se fosse mai stata approvato un provvedimento per le coppie gay e lesbiche (attendiamo, a questo punto, prova di coerenza). Mario Adinolfi scomoda addirittura la memoria di re Baldovino e invita il presidente della Repubblica a non firmare la legge. Come ho già detto in altre occasioni, questo è quanto accade a chi decide di recitare il ruolo di polvere, nel complesso meccanismo dei cambiamenti sociali. Prima o poi qualcuno ti spazza via.

Personalmente parlando, sensazioni contrastanti si agitano in me: credo che queste unioni civili andassero approvate, l’ho detto più volte. Per molte coppie sarà garantita una tutela minima, sotto il profilo legale (meno, sul piano morale e culturale). Per loro, riesco a gioire. Credo inoltre che un approccio critico, come quello di Michela Marzano o di Famiglie Arcobaleno, sia la scelta intellettualmente più onesta, tra rifiuto totale e strategici trionfalismi a scopo elettorale.

Rimango più critico sull’opportunità di aver voluto festeggiare, invece: l’impianto della legge resta discriminatorio. Provo a spiegarlo con un esempio: se per farti prendere lo stesso caffè degli etero ti facessero passare dal retro di un bar e ti dicessero che i tuoi figli non possono entrare, tu consumeresti in quel posto? E diresti “grazie” una volta servito? Saresti felice, in altre parole? Questo è quanto sta accadendo ai nostri diritti e, soprattutto, a quelli dei nostri figli. Occorrerà, credo, interrogarsi sul perché non riusciamo ad essere una comunità compatta.

La lotta per l’uguaglianza, ad ogni modo, non deve fermarsi ma proseguire su questo e altri fronti (primo tra tutti quello delle adozioni). Essa dovrà ripartire da una legge che per “concedere” diritti di base ci discrimina relegandoci al rango di “non famiglie”. Occorre ricominciare da qui, per chi vorrà investire ancora le sue energie. Poi un giorno, a matrimonio ottenuto, potremo definirci un paese civile come tutti gli altri. E gioire davvero, come cittadini e cittadine a piena dignità, giuridica e culturale.

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