Alberto Bagnai ha pubblicato, sull’edizione cartacea del Fatto, un suo pregevole intervento in risposta al buon Fabio Scacciavillani, il cui testo non ho potuto purtroppo reperire, ma di cui conosco abbastanza le posizioni, avendo più di una volta polemizzato, beninteso indegnamente, con lui. In sostanza, Bagnai sostiene che a monte dell’attuale stagnazione economica vi è una distribuzione scarsamente funzionale del reddito prodotto, che determina l’emarginazione di crescenti settori della popolazione e l’aggravamento delle distanze fra ricchi e poveri. Scrive Bagnai: “Più disuguaglianza implica più crisi che implicano più disuguaglianza, in un contesto di stasi dei salari e di bonus milionari al management, mentre l’accresciuta disuguaglianza frena la crescita perché convoglia minor reddito verso le classi meno abbienti, di quelle che avrebbero una maggiore propensione a spenderlo, riattivando l’economia”. E si chiede che cosa abbia causato la vera stagnazione secolare, quella dei salari, formulando un invito ad unirsi al dibattito che voglio accogliere.
A mio avviso la risposta è, almeno in apparenza, abbastanza semplice. La stagnazione dei salari avviene perché i rapporti di forza tra le classi si sono inesorabilmente spostati, negli ultimi cinquanta anni, nella direzione delle classi abbienti, almeno nei Paesi economicamente più avanzati, Europa, Stati Uniti e Giappone in particolare. A monte di tale spostamento vi è il maggiore dinamismo del capitale che ha agito per demolire il potere della classe operaia mediante automazione, delocalizzazioni, impiego di manodopera immigrata e meno sindacalizzata in genere, finanziarizzazione dell’economia, aumento del ruolo delle forze e dei fenomeni illegali nelle loro varie forme, dalla corruzione, all’evasione fiscale alle mafie di vario genere. Per vincere questa battaglia il capitale ha ovviamente causato nuovi enormi problemi che a loro volta hanno aggravato la crisi. La quale è non solo crisi economica, ma anche crisi ambientale, democratica, dello Stato di diritto e della pace. Il mondo in cui viviamo è frutto del capitale che ne è la forza dominante e quella che sta instancabilmente predisponendo il futuro molto poco simpatico che ci si prepara e che per molti versi è già nettamente discernibile.
Possiamo quindi procedere a un ulteriore passaggio rispetto alla domanda di Bagnai. Come si esce dalla stagnazione secolare dei salari? Anche in questo caso la risposta è semplice e chiara. Attraverso una ripresa della lotta di classe che faccia i conti con la nuova conformazione del capitale e con quella delle classi subalterne, le quali risultano speculari al primo. Per capirsi, al tempo del capitale industriale dei “trenta gloriosi” (1945-1975) c’era una robusta classe operaia intorno alla quale si organizzavano numerosi altri settori sociali. Oggi la classe operaia, per effetto dei fenomeni cui ho accennato, è molto meno robusta, ma ciò non significa che il potenziale rivoluzionario presente nella società sia inferiore. Anzi direi che è superiore e di molto. Solo che i vecchi strumenti, partiti e sindacati, sono diventati pressoché inservibili, e occorre forgiarne di nuovi. Occorre affrontare problemi nuovi, come quello delle migrazioni, organizzando la lotta di classe dei lavoratori migranti e non già illudendosi di poterli fermare alle frontiere, come nella versione “operaista” dei razzisti nostalgici del buon tempo andato. E occorre darsi anche nuovi obiettivi, fra i quali quello del reddito di cittadinanza assume un rilievo del tutto centrale.
Se tutti noi che non siamo convinti di dover lasciare l’avvenire nostro, quello del resto dell’umanità e quello del pianeta, nelle mani di una classe dominante avida, miope e anche, come diceva il compianto e grande Luciano Gallino, un po’ cretina, riuscissimo a darci strumenti efficaci di organizzazione e di lotta ed obiettivi chiari di trasformazione economica, politica e sociale, faremmo qualcosa di buono non solo per noi stessi, che pure siamo credo la maggioranza, ma per tutti, compresi gli sfruttatori che si tratta di liberare da se stessi, dato che sono i primi ad essere alienati. Potrebbe sembrare un compito troppo vasto, ma determinati fenomeni politici in corso, come il consenso per Sanders negli Stati Uniti e Corbyn in Gran Bretagna, o le lotte dei giovani francesi contro il loro Jobs Act lasciano ben sperare. Si tratta infatti di fenomeni che, a differenza che nel passato, si svolgono nel cuore stesso del sistema capitalistico, che va abbattuto, se vogliamo dare una chance all’economia, ma anche e soprattutto all’ambiente, alla salute e alla democrazia. Speriamo che anche in Italia sorgano forze alternative all’altezza, delle quali però purtroppo non si vede al momento alcuna traccia.