Le cronache dell’eurozona di questi giorni hanno individuato il principale responsabile della crisi dell’Unione Monetaria: la Germania. Difatti è da diverso tempo a questa parte che si susseguono editoriali e puntuali analisi sullo stato della crisi dell’euro, e sul perché mai non si riesca a trovare una via d’uscita percorribile congiuntamente dagli stati membri. Non può esserci una soluzione condivisa per il semplice fatto che lo stato dell’arte attuale, permette alla Germania di difendere il primato commerciale ed economico costruito in questi anni. Il surplus delle partite correnti tedesco è stato solamente nel 2015 di ben 275 miliardi euro, l’8,8% del Pil della Germania, mentre nel mese di marzo di quest’anno ha già raggiunto la cifra di 30 miliardi di euro. La Germania continua ad esportare, e a comprimere la propria domanda interna per poter difendere e aumentare ancora di più quell’enorme surplus. Ma le regole dell’identità contabile insegnano che se c’è un surplus da un lato, dall’altro deve necessariamente esserci un deficit. E questa regola trova esattamente conferma nelle dinamiche dell’eurozona.
Il necessario riequilibrio di questi disallineamenti dovrebbe passare per un trasferimento di fondi, pertanto parte di quel surplus dovrebbe essere utilizzato per sostenere le esportazioni degli altri paesi membri, e reinvestito nelle stesse aziende tedesche, possibilmente per aumentare il livello dei salari. Il centro dovrebbe seguire questo schema per sostenere la debole domanda della periferia, ma tutto questo non avviene, perché la Germania non ne vuole sapere di cedere il suo bonus di competitività a vantaggio degli altri paesi europei, e si rimane confinati in questo limbo, dove il nord attribuisce le colpe della debole ripresa al sud e alle sue errate politiche di gestione dei bilanci pubblici. Da questo nasce la richiesta tedesca di proseguire sulla strada delle riforme strutturali ai paesi del sud Europa, ma come brillantemente spiegato dalle stesse fonti della Bce, queste non sortiscono alcun risultato nella ripresa della domanda interna, né aiutano in alcun modo a risollevare la debole inflazione che continua a far registrare un segno negativo.
Come sottolineato da Martin Wolf sul FT, è questa situazione di stallo che mette a rischio l’euro, ed è soprattutto l’ostinato egoismo della Germania a mettere a dura prova la possibilità di passare alla fase successiva dell’unione fiscale e monetaria dell’Ue. L’ordoliberismo è stato il marchio di fabbrica del Trattato di Maastricht, ovvero un vero e proprio vestito su misura dell’economia tedesca che già ai tempi della Cee ricorreva a politiche commerciali aggressive nei confronti dei suoi avversari. La flessibilità del cambio era lo strumento che consentiva ai paesi del sud di difendersi dall’egemonia commerciale tedesca, e allo stesso tempo permetteva ad economie strutturalmente diverse da quelle della Germania, di essere competitivi sui mercati senza ricorrere a pratiche di deflazione salariale di scuola neoliberista.
Ora la posizione della Germania è stata messa nel mirino da più osservatori, un tempo piuttosto distratti sul surplus tedesco, e se ne arriva a chiedere persino il sanzionamento, come del resto previsto da Maastricht, che fissa il limite dell’avanzo commerciale al 6%. Quello che appare chiaro, dalle dichiarazioni dei protagonisti e dei falchi tedeschi, è che la Germania non ha la minima intenzione di cedere di un millimetro su questa linea. Ed è la linea imposta da Weidmann, presidente della Bundesbank, che riversa le responsabilità del fallimento del Qe su Mario Draghi, accusato di azzerare il rendimento dei risparmi tedeschi con le sue politiche di tassi bassi, quando è proprio l’eccessivo livello del risparmio tedesco a impedire sul nascere qualsiasi possibilità di ripresa dell’eurozona.
Se la Germania volesse davvero stimolare la ripresa degli altri paesi, dovrebbe necessariamente aumentare la propria domanda interna, e sostenere così le esportazioni dei suoi concorrenti. Ma è un’ipotesi di pura scuola al momento, perché “non c’è spazio per la solidarietà” come affermato dallo stesso Weidmann che si è affrettato a chiudere la porta anche alla possibilità dei trasferimenti fiscali. A questo punto appare chiaro che non esiste una forza politica ed economica, in Europa, in grado di contrastare lo strapotere tedesco, e non è affatto da escludersi un intervento esterno di Washington per portare il gigante tedesco a più miti consigli. Proprio recentemente il Tesoro americano ha stilato una lista dei paesi che praticano politiche commerciali aggressive, in grado di mettere a rischio la tenuta e la stabilità economica degli altri paesi.
In questa lista c’è la Germania, che è stata messa nel mirino dagli Usa da diverso tempo, perché le sue resistenze a qualsiasi tipo di cambiamento mettono a rischio l’euro e tutta l’Ue. Le conseguenze potrebbero rivelarsi serie per le esportazioni tedesche, con disdette di contratti e sanzioni economiche americane verso la Germania. Alla Casa Bianca, da tempo, non fanno mistero di non gradire il comportamento tedesco, e di certo non sarà tollerata una ribellione che metta a rischio l’integrazione europea. Gli avvertimenti ricevuti fino ad ora, si veda il caso VW, sono stati ignorati dai vertici politici tedeschi, e non è ardito prevedere che a breve ci sarà un nuovo scontro tra Usa e Germania. Il giudice di Berlino potrebbe essere presto giudicato a sua volta dal giudice di Washington.
Cesare Sacchetti
Blogger e esperto in Studi europei
Zonaeuro - 13 Maggio 2016
Europa, il vero nemico dell’euro è la Germania
Le cronache dell’eurozona di questi giorni hanno individuato il principale responsabile della crisi dell’Unione Monetaria: la Germania. Difatti è da diverso tempo a questa parte che si susseguono editoriali e puntuali analisi sullo stato della crisi dell’euro, e sul perché mai non si riesca a trovare una via d’uscita percorribile congiuntamente dagli stati membri. Non può esserci una soluzione condivisa per il semplice fatto che lo stato dell’arte attuale, permette alla Germania di difendere il primato commerciale ed economico costruito in questi anni. Il surplus delle partite correnti tedesco è stato solamente nel 2015 di ben 275 miliardi euro, l’8,8% del Pil della Germania, mentre nel mese di marzo di quest’anno ha già raggiunto la cifra di 30 miliardi di euro. La Germania continua ad esportare, e a comprimere la propria domanda interna per poter difendere e aumentare ancora di più quell’enorme surplus. Ma le regole dell’identità contabile insegnano che se c’è un surplus da un lato, dall’altro deve necessariamente esserci un deficit. E questa regola trova esattamente conferma nelle dinamiche dell’eurozona.
Il necessario riequilibrio di questi disallineamenti dovrebbe passare per un trasferimento di fondi, pertanto parte di quel surplus dovrebbe essere utilizzato per sostenere le esportazioni degli altri paesi membri, e reinvestito nelle stesse aziende tedesche, possibilmente per aumentare il livello dei salari. Il centro dovrebbe seguire questo schema per sostenere la debole domanda della periferia, ma tutto questo non avviene, perché la Germania non ne vuole sapere di cedere il suo bonus di competitività a vantaggio degli altri paesi europei, e si rimane confinati in questo limbo, dove il nord attribuisce le colpe della debole ripresa al sud e alle sue errate politiche di gestione dei bilanci pubblici. Da questo nasce la richiesta tedesca di proseguire sulla strada delle riforme strutturali ai paesi del sud Europa, ma come brillantemente spiegato dalle stesse fonti della Bce, queste non sortiscono alcun risultato nella ripresa della domanda interna, né aiutano in alcun modo a risollevare la debole inflazione che continua a far registrare un segno negativo.
Come sottolineato da Martin Wolf sul FT, è questa situazione di stallo che mette a rischio l’euro, ed è soprattutto l’ostinato egoismo della Germania a mettere a dura prova la possibilità di passare alla fase successiva dell’unione fiscale e monetaria dell’Ue. L’ordoliberismo è stato il marchio di fabbrica del Trattato di Maastricht, ovvero un vero e proprio vestito su misura dell’economia tedesca che già ai tempi della Cee ricorreva a politiche commerciali aggressive nei confronti dei suoi avversari. La flessibilità del cambio era lo strumento che consentiva ai paesi del sud di difendersi dall’egemonia commerciale tedesca, e allo stesso tempo permetteva ad economie strutturalmente diverse da quelle della Germania, di essere competitivi sui mercati senza ricorrere a pratiche di deflazione salariale di scuola neoliberista.
Ora la posizione della Germania è stata messa nel mirino da più osservatori, un tempo piuttosto distratti sul surplus tedesco, e se ne arriva a chiedere persino il sanzionamento, come del resto previsto da Maastricht, che fissa il limite dell’avanzo commerciale al 6%. Quello che appare chiaro, dalle dichiarazioni dei protagonisti e dei falchi tedeschi, è che la Germania non ha la minima intenzione di cedere di un millimetro su questa linea. Ed è la linea imposta da Weidmann, presidente della Bundesbank, che riversa le responsabilità del fallimento del Qe su Mario Draghi, accusato di azzerare il rendimento dei risparmi tedeschi con le sue politiche di tassi bassi, quando è proprio l’eccessivo livello del risparmio tedesco a impedire sul nascere qualsiasi possibilità di ripresa dell’eurozona.
Se la Germania volesse davvero stimolare la ripresa degli altri paesi, dovrebbe necessariamente aumentare la propria domanda interna, e sostenere così le esportazioni dei suoi concorrenti. Ma è un’ipotesi di pura scuola al momento, perché “non c’è spazio per la solidarietà” come affermato dallo stesso Weidmann che si è affrettato a chiudere la porta anche alla possibilità dei trasferimenti fiscali. A questo punto appare chiaro che non esiste una forza politica ed economica, in Europa, in grado di contrastare lo strapotere tedesco, e non è affatto da escludersi un intervento esterno di Washington per portare il gigante tedesco a più miti consigli. Proprio recentemente il Tesoro americano ha stilato una lista dei paesi che praticano politiche commerciali aggressive, in grado di mettere a rischio la tenuta e la stabilità economica degli altri paesi.
In questa lista c’è la Germania, che è stata messa nel mirino dagli Usa da diverso tempo, perché le sue resistenze a qualsiasi tipo di cambiamento mettono a rischio l’euro e tutta l’Ue. Le conseguenze potrebbero rivelarsi serie per le esportazioni tedesche, con disdette di contratti e sanzioni economiche americane verso la Germania. Alla Casa Bianca, da tempo, non fanno mistero di non gradire il comportamento tedesco, e di certo non sarà tollerata una ribellione che metta a rischio l’integrazione europea. Gli avvertimenti ricevuti fino ad ora, si veda il caso VW, sono stati ignorati dai vertici politici tedeschi, e non è ardito prevedere che a breve ci sarà un nuovo scontro tra Usa e Germania. Il giudice di Berlino potrebbe essere presto giudicato a sua volta dal giudice di Washington.
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Roma, 22 feb. (Adnkronos) - Le "elite di sinistra" si sono "recentemente indignate per il discorso di JD Vance a Monaco in cui il vicepresidente ha giustamente affermato che prima di discutere di sicurezza, dobbiamo sapere cosa stiamo difendendo. Non stava parlando di tariffe o bilance commerciali su cui ognuno difenderà i propri interessi preservando la nostra amicizia". Mo ha sottolineato la premier Giorgia Meloni nel suo intervento al Cpac.
"Il vicepresidente Vance stava discutendo di identità, democrazia, libertà di parola. In breve, il ruolo storico e la missione dell'Europa. Molti hanno finto di essere indignati, invocando l'orgoglio europeo contro un americano che osa farci la predica. Ma lasciate che ve lo dica io, da persona orgogliosa di essere europea - ha detto ancora - Innanzitutto, se coloro che si sono indignati avessero mostrato lo stesso orgoglio quando l'Europa ha perso la sua autonomia strategica, legando la sua economia a regimi autocratici, o quando i confini europei e il nostro stile di vita sono stati minacciati dall'immigrazione illegale di massa, ora vivremmo in un'Europa più forte".
(Adnkronos) - "I nostri avversari - ha detto Meloni- sperano che il presidente Trump si allontani da noi. Ma conoscendolo come un leader forte ed efficace, scommetto che coloro che sperano nelle divisioni si smentiranno. So che alcuni di voi potrebbero vedere l'Europa come lontana o addirittura lontana o addirittura perduta".
"Vi dico che non lo è. Sì, sono stati commessi degli errori. Le priorità sono state mal riposte, soprattutto a causa delle classi dominanti e dei media mainstream che hanno importato e replicato nel Vecchio Continente".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "So che con Donald Trump alla guida degli Stati Uniti, non vedremo mai più il disastro che abbiamo visto in Afghanistan quattro anni fa. Quindi sicurezza delle frontiere, sicurezza delle frontiere, sicurezza energetica, sicurezza economica, sicurezza alimentare, difesa e sicurezza nazionale per una semplice ragione. Se non sei sicuro, non sei libero". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "C'è una crescente consapevolezza. C'è una crescente consapevolezza in Europa che la sicurezza è ora la massima priorità. Non puoi difendere la tua libertà se non hai i mezzi o il coraggio per farlo. La felicità dipende dalla libertà e la libertà dipende dal coraggio. Lo abbiamo dimostrato quando abbiamo fermato le invasioni, conquistato le nostre indipendenze e rovesciato i dittatori". Così la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.
"E lo abbiamo fatto insieme negli ultimi tre anni in Ucraina, dove un popolo orgoglioso combatte per la propria libertà contro un'aggressione brutale. E dobbiamo continuare oggi a lavorare insieme per una pace giusta e duratura. Una pace che può essere costruita solo con il contributo di tutti, ma soprattutto con forti leadership".
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - In Ucraina "un popolo coraggioso combatte contro una brutale aggressione". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al Cpac.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "I nostri avversari sperano che Trump si allontani da noi. Io lo conosco, e scommetto che dimostreremo che si sbagliano. Qualcuno può vedere l'Europa come distante, lontana. Io vi dico: non è così". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un messaggio alla convention Cpac a Washington.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "La propaganda diceva che un governo conservatore avrebbe isolato l'Italia, avrebbe scoraggiato gli investitori, avrebbe soppresso le libertà, ma erano fake. L'Italia sta meglio, l'economia cresce" l'arrivo di migranti "si è ridotto del 60%. Stiamo facendo aumentare le libertà in tutti gli aspetti della vita del paese". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un messaggio al Cpac.