Ispirato al celebre omonimo bestseller per l’infanzia di Roald Dahl, è un concentrato di magia, immaginazione e classicità hollywoodiana portato all’ennesima potenza dal triunvirato Dahl, Disney e dal regista premio Oscar. “Mi sono sentito come un giovane regista, anche io un cacciatore di sogni che per me sono le belle storie da raccontare”
“Più il mondo peggiora e più abbiamo bisogno di sognare. I nostri sogni sono un’arma per migliorare la vita reale, per nutrirla di speranza. E per me la speranza è tutto”. Ha quasi un fremito di commozione quando sua maestà da Hollywood Steven Spielberg si esprime sul valore dei sogni. Perché lui, che è il più profondo conoscitore della Fabbrica dei Sogni, non vuole rinunciare a crederci. Anche per questo motivo ha scelto di dirigere The Disney BFG – in italiano il titolo è Il GGG – Il Grande Gigante Gentile e uscirà da noi a Capodanno 2017 – che è il film di punta dell’odierna giornata al 69° Festival di Cannes.
Ispirato al celebre omonimo bestseller per l’infanzia di Roald Dahl, è un concentrato di magia, immaginazione e classicità hollywoodiana portato all’ennesima potenza dal triunvirato Dahl, Disney e Spielberg: quasi come se il Sogno Americano fosse partito in missione a combattere contro i suoi (crescenti) detrattori. E, come se non bastasse, ad adattarlo in sceneggiatura è stata Melissa Mathison, la “mamma” di E.T. : la sceneggiatrice e il regista non lavoravano più insieme dal 1982, annus mirabilis che vide sia la produzione di quel capolavoro di Spielberg sia la pubblicazione del romanzo di Dahl.
Insomma, la reunion suonava imprescindibile e la sua traccia è visibile in una toccante citazione di E.T. all’interno di BFG, quasi a suggellare l’identificazione tra quel piccolo extraterrestre e questo gigante, accomunati da infinita dolcezza. “Come E.T. anche BFG è una storia sulla conciliazione delle differenze” spiega Spielberg che per il ruolo del Grande Gigante Gentile ha voluto il suo nuovo “sodale” Mark Rylance, vincitore dell’Oscar per il già iconico personaggio di Rudolf Abel ne Il ponte delle spie.
“Per entrare nei grandi panni di BFG mi sono ispirato a due colleghi di mio padre, due uomini semplici e gentili del Kent” ha sottolineato l’attore britannico che non ha nascosto la sensazione di sentirsi più su un palcoscenico teatrale che non in un film mentre girava le scene di BFG. “La performance capture ti fa recitare nel vuoto, in uno spazio tecnicamente chiamato “the volume”, sei come a teatro ma senza pubblico”. La sua comprimaria nel ruolo della piccola Sophie è l’esordiente inglese Ruby Barnhill, 12 anni e un talento assicurato.
Nel romanzo come nel film, il gigante e la bambina sono letteralmente “cacciatori di sogni” e fanno qualunque cosa pur di fermare chi li vuole distruggere, anche rivolgersi alla Regina d’Inghilterra. “Il mio sogno personale di vita è il processo creativo stesso. Dunque ogni film è un sogno realizzato” annuncia il cineasta a chi lo interroga sull’argomento, e continua confessando la profonda libertà ottenuta per questa pellicola in particolare. “Mi sono sentito come un giovane regista, anche io un cacciatore di sogni che per me sono le belle storie da raccontare”. Seppur la fluidità narrativa di The Disney BFG non decolla immediatamente, il film gradualmente prende il volo verso il territorio dove era destinato, ovvero quello dell’autentica magia del cinema.
E di sogni realizzati possono parlare anche due dei nostri portabandiera di scena a Cannes 2016, Paolo Virzì e Alessandro Comodin, oggi alla loro prova ufficiale davanti alle platee mondiali della Croisette. Il primo, che ha presentato alla Quinzaine des Realisateurs La pazza gioia, è apparso oggi luminoso per l’accoglienza generosa e calorosa ricevuta alla proiezione di stamani. “Mi dicono che è andata bene eh..” ha scherzato il regista livornese di cui la stampa specializzata internazionale ha annunciato ieri il prossimo impegno: si tratta del suo primo film “straniero”, The Leisure Seeker con Donald Sutherland e Helen Mirren. Soddisfazioni sono arrivate anche per Comodin, con la sua premiére oggi alla Semaine de la Critique. Il suo I tempi felici verranno presto è una sofisticata indagine nei meandri più complessi del linguaggio cinematografico e si incarna essenzialmente nella descrizione di una fuga: “Per me fare cinema è esplorare e scoprire” ha dichiarato il giovane regista friulano di ormai assodato talento.