Come già nell’antichità, improvvise ondate migratorie mettono in crisi l’Europa. La Storia ha qualcosa da insegnarci in proposito? O il mondo moderno è troppo globalizzato, troppo sviluppato, troppo diverso per trarre utili insegnamenti da un così remoto passato? In realtà, l’inizio del primo millennio era un’epoca di grande “globalizzazione”.
Plinio il Vecchio scriveva: “Oggi si vanno a comprare i vestiti di seta in Cina…” e calcolava in 100 milioni di sesterzi, minimaque computatione,il flusso annuale di oro in uscita dall’Impero per pagare le importazioni di beni di lusso: una cifra enorme, pari al gettito annuale di tutte le imposte indirette dell’Impero (Bessone). I Cinesi dal canto loro parlavano di ‘Rom’ come del terminale occidentale della via della seta “dal quale ci arrivano tutti quei vari e meravigliosi oggetti”.
Ad ogni stagione monsonica, dalle rive egizie del Mar Rosso, centinaia di navi salpavano verso l‘India, dove i mercanti romani s’incontravano con quelli cinesi. La tavola Peutingeriana rivela la presenza, nell’India meridionale, persino di un Tempio di Augusto; presenza, quella romana, confermata dai mosaici di Piazza Armerina, che illustrano gli animali e la giungla indiana con precisione botanica.
Villa del Casale – Allegoria dell’India
A nord dell’impero, la via dell’ambra e le importazioni romane di materie prime, legname e schiavi, portavano oro, argento, armi, suppellettili pregiate (come quelle qui sotto, ritrovate in Norvegia), tecnologie, e sviluppo.
Verso ovest, secondo l’imperatore Giuliano, “l’Oceano [Atlantico] lo abbiamo esplorato da tutti i lati: lo conosciamo come il mare nostrum”. Affermazione che ha indotto qualcuno a fantasticare di ‘Romani in America’ grazie anche ad alcuni inspiegabili mosaici romani con frutti esotici – come l’ananas – che prima di Cristoforo Colombo crescevano solo in America.
Dentro le proprie frontiere, i Romani avevano una moneta unica e un mercato unico, con libertà di movimento di capitali, persone, e cose. E la gente viaggiava: a Roma, Trastevere era il quartiere ebreo, l’Aventino quello siriano, ecc.; ad Alessandria c’era persino un quartiere indiano. Il mondo antico, fortemente alfabetizzato, era anche simile al nostro per gamma e qualità di beni disponibili, benché privo della nostra frenesia consumistica e di produzione meccanizzata; e con trasporti a trazione animale, umana, o a vento e correnti. L’impero coincideva con il bacino del Mediterraneo e i territori celti: cioè le aree più ricche. I Romani conquistavano solo quello che era conveniente. Tiberio rinunciò a occupare la Germania sulla base di un puro calcolo costi-benefici: non c’erano abbastanza ricchezze da depredare, sfruttare o tassare. Stessa valutazione fecero i generali di Domiziano sull’Irlanda. Nel V sec. il divario economico fra Romani e Germani era ancora importante.
A causa di questo divario, l’impero dovette confrontarsi a lungo con una forte pressione migratoria. Già Cesare, mentre conquistava la Gallia, s’imbatté in – e ricacciò – una tribù germanica che aveva varcato il Reno attratta dalle terre dei Celti. Con il limes – il ‘muro’ fortificato lungo la frontiera del Reno-Danubio – i Romani bloccarono la tendenza dei popoli nord-orientali ad infiltrarsi nelle regioni occidentali e meridionali d’Europa. La pressione assunse allora più spesso forme violente (a cominciare dalle numerose razzie di ‘banditi’ Germani nelle ville romane presso la frontiera). A farne le spese erano anche i Germani stanziati ai confini dell’impero (perciò più ricchi degli altri): come i Marcomanni, aggrediti nel 166 dai Longobardi stanziati alla foce dell’Elba.
Nonostante tutto, la pressione migratoria fu gestita per secoli con successo, grazie a un mix di: politiche di respingimento e seri controlli alle frontiere; politiche di accoglienza restrittive ma flessibili, selettive, di reciproca convenienza; politiche di re-insediamento su territori spopolati o esterni; politiche estere intrusive negli ‘stati cuscinetto’ al confine, basate su aiuti finanziari annuali ai re ‘amici’, e dure spedizioni punitive contro chi creava problemi. (Nell’immagine sotto: colonna aureliana, prigionieri Quadi costretti ad uccidere i compagni, esempio di propaganda imperiale: ‘così trattiamo i barbari troppo aggressivi!’).
Le migrazioni di natura economica tendono a svilupparsi gradualmente, e lasciano ai paesi di arrivo il tempo di adattarsi, di inserire, di contenere, di trovare contromisure, di reagire. Solo in casi rarissimi, con l’insorgere di stati canaglia sufficientemente potenti nei paesi poveri (Attila nel 440-53; Saddam Hussein in Kuwait nel 1990), la motivazione economica da sola acquista una forza dirompente. E così, per molti secoli, l’immigrazione economica rappresentò un punto di forza dell’impero, grazie a politiche di integrazione rigorose e ben organizzate. Al contrario, traumi di natura politica possono scatenare ondate migratorie incontenibili. Nel 374 gli Unni, sbucati come demoni dalle steppe, terrorizzarono i Goti stanziati intorno al Mar Nero.
Dopo molti tentativi di resistenza, i Goti fuggirono in massa e si presentarono ai confini danubiani dell’impero chiedendo asilo. Secondo Ammiano, i rifugiati erano talmente numerosi che i funzionari romani cessarono di contarli e registrarli. L’impero “accolse” i Goti solo perché in quel momento l’esercito era impegnato in Armenia, contro la superpotenza persiana. Ma a quel punto le strutture di accoglienza furono sopraffatte dai grandi numeri: i Goti affamati ed umiliati divennero presto, in Tracia, una presenza ostile e destabilizzante. Similmente, nel 406, l’avanzata degli Unni fino al centro dell’Europa spinse numerosi popoli – Vandali, Alani, Suebi – a riversarsi tutti insieme in Gallia, dando l’avvio al crollo dell’Europa occidentale. Non si conoscevano fra loro, non parlavano la stessa lingua, nessun meccanismo economico avrebbe potuto “coordinarli”: lo fece la comune paura degli Unni, da cui fuggivano.
Se historia magistra vitaela, sulle migrazioni quella antica insegna che:
– Una zona relativamente ricca subisce sempre pressioni migratorie di natura economica. Si può gestire, trarne vantaggio con una sapiente integrazione, che rispetta ed inserisce chi entra. I Romani di origine barbara erano tantissimi, non creavano problemi, e difendevano l’impero come gli altri;
– Un trauma politico nei paesi esterni, al contrario, può creare migrazioni improvvise, gigantesche, e ingestibili;
– Ai paesi ricchi conviene andare d’accordo – hanno poco da guadagnare da instabilità, guerre, e cambiamenti geopolitici – per prevenire insieme i rischi di ‘migrazioni politiche di massa’. Se i Romani non fossero stati in guerra con i persiani, nel 376 avrebbero potuto gestire i 100.000? Goti sul Danubio;
– Ai paesi ricchi conviene promuovere la pace e la sicurezza fuori dalle proprie frontiere. Se anche, nel 376, l’esercito romano fosse stato presente e fosse stato in grado di contenere i Goti, prima o poi i conti con gli Unni avanzanti li avrebbe comunque dovuti fare: perciò sarebbe stato meglio stabilizzare subito la frontiera goto-unna assieme ai Goti e rimandare i Goti a casa loro. Difatti i Romani per secoli, finché fu possibile, promossero una cintura di ‘Stati’ satellite intorno all’impero governati da ben foraggiati ‘re amici’. Un po’ come fanno oggi gli Americani (in Pakistan, ecc.).
L’Europa contemporanea – in testa la Germania – sta pian piano arrivando alle medesime conclusioni dei Romani. Non si può accogliere tutti: neanche imponendo ‘quote’ ai paesi membri dell’Ue (logica adatta solo alle migrazioni economiche). Il limes è uno solo, e si fa alle frontiere dell’Europa, non al Brennero, non dentro l’Europa. La Turchia è lo stato cuscinetto prescelto da Angela Merkel (per bloccare la ‘rotta balcanica’ dei migranti); e la Germania è disposta a pagare, è normale. Com’è normale che i Turchi, alla lunga, non si accontentino dei 3 mld. ‘una tantum’ inizialmente pattuiti. Non si gridi al ‘ricatto’: la migrazione è un fenomeno continuo, così saranno i pagamenti. I Turchi cercheranno di ottenere il massimo beneficio…come gli europei, in base a un doppio calcolo dei costi-benefici, e ai mutevoli rapporti di forza fra le parti: situazione pericolosa ma inevitabile nel breve termine.
Il blocco della rotta balcanica tuttavia spingerà i migranti più a ovest: un limes incompleto non basta. Perciò l’Italia vuole un altro stato-cuscinetto a sud; “stabilizzare la Libia”, questo significa. Basterà? Non nel lungo termine, se non si stabilizza quel che c’è dietro. Anche nel 376 il problema di lungo termine non erano i Goti, ma gli Unni. Per questo Wolfgang Schaeuble ha parlato in Gennaio di “un Piano Marshall per l’Africa e il Mediterraneo”; e Renzi ora propone all’Europa di approvare un “Migration compact” che include aiuti allo sviluppo. Ma si rischia di confondere le migrazioni economiche con quelle politiche. Quello che conta, soprattutto per l’Europa, è dare stabilità politica all’Africa e al Medio Oriente, promuovere la “democrazia liberale” (salvaguardie per le minoranze) e i diritti umani (salvaguardie individuali), anche con le armi: la nostra democrazia non è forse nata in punta di fucile?! Purché vi sia un progetto sostenibile, coerente, completo, costruito e gestito dal basso e con il consenso: proprio quello che è mancato in Iraq nel 2004, e in Siria nel 2012.