Che cosa accadrebbe se, invece di scoprire artisti e canzoni disposti in ordine alfabetico, si potesse viaggiare con la musica attraverso il tempo e lo spazio? Questa domanda, apparentemente semplice, ha dato vita ad una risposta a dir poco geniale: il sito di radiooooo.com. Non una semplice webradio, ma una piattaforma estremamente intuitiva e accattivante dove puoi scegliere il decennio e la nazione, e con un click sei trasportato in quello che era il sound radiofonico di quell’epoca e di quel luogo.
L’idea che c’è dietro è nata in un modo affascinante. Era il 2012 quando il dj francese Benjamin Moreau, quello che sarebbe diventato il fondatore del progetto, si trovava a bordo dell’auto di suo padre, una sportiva degli anni ‘60. Mentre girava le manopole di una radio vintage sul cruscotto si era imbattuto in una stazione che passava musica techno. Dalla strana bolla temporale che si era così creata, è scattata la scintilla per l’idea dei viaggi musicali nel tempo.
Dall’intuizione di Moreau si è sviluppata una vera e propria start-up. Tra i primi a dare basi solide al progetto ci sono il produttore musicale Raphaël Hamburger e il gallerista d’arte contemporanea Emmanuel Perrotin. Hanno chiamato la loro piccola società Radiooooo, dove le cinque “o” rappresentano i cinque continenti. Con un contributo sempre crescente di collaboratori, ha preso corpo una raccolta dei vari “tesori musicali” del mondo – come li chiama Moreau – organizzata per nazioni e decadi, dalla nascita della radio sino ad oggi. Ne poteva venir fuori un database senz’anima, e invece Moreau e soci hanno creato quell’interfaccia grafica che ti fa subito dire “che figata!”: un planisfero disegnato a mano, un mood di riferimento (slow, fast, weird) e soprattutto una linea del tempo. La colonna portante del sito è una playlist di canzoni suggerite da 30.000 iscritti, che partecipano attivamente nel rifornire la mappa di “tesori”, e una squadra di editor che, con certosina pazienza, setacciano tra le centinaia di proposte, soprattutto in materia di qualità audio dei file ma anche di qualità artistica della proposta.
Ma scrivere di Radiooooo non basta. Per questo abbiamo provato la macchina del tempo per voi. All’inizio dell’articolo, il nostro maledetto etnocentrismo ci ha portato a scegliere l’Italia. Nel 1925, anno in cui Mussolini si prende la responsabilità politica dell’omicidio di Giacomo Matteotti, nelle radio risuona “O Bene ‘e Cuncettina” di Giuseppe Godono. Appena qualche anno dopo, nel 1930, le radio tedesche regalavano gli slanci romantici di Richard Tauber in “Dein Ist Mein Ganzes Herz”.
Il nostro viaggio si sposta poi verso gli States degli anni 40. Si sentiva in radio parlare Roosevelt nelle chiacchiere al caminetto, e magari poco dopo partiva “Who Said Shorty Wasn’t Coming” di Lucky Millinder, ed è impossibile star fermi sulla sedia. Quasi tutta l’area africana nei 40’s non è cliccabile, e d’altra parte di radio ce ne dovevano esser poche. All’alba della Guerra Fredda siamo curiosi di sapere che suono avesse il socialismo reale in Russia. Negli anni 50 era un suono di brindisi di vodka mentre Lyudmila Gurchenko canta “Pyat’ Minut”. Eppure basta spostare il cursore negli anni ’70, sempre in URSS, per ascoltare Anatoly Korolev con “Mne ne nado jalosti”, un pezzo su cui poteva ancheggiare un ventitreenne Vladimir Putin, con tanto di influssi funk degni delle migliori soundtrack per film poliziotteschi.
Per gli anni 60 la tappa inglese è d’obbligo, precisamente nel 1968 con Dana Gillespie e la bellissima “You Just Gotta Know My Mind”, un pezzo che continuerebbe ancora oggi a riempire le piste da ballo. A questo punto, ci prende la scimmia di sapere cosa si ascolta nella Cina anni ’80. Pare che la risposta maoista alla disco-funk occidentale qui abbia preso le sembianze di un pezzo di Chen Qiong Mei. Sul titolo della canzone non chiedeteci oltre, perché anche il traduttore di Google tace. Il nostro viaggio su Radiooooo si conclude nel Mali dei nostri giorni, perché non vogliamo fare la figura dei provinciali. E sulle polverose note di “Imidiwan” cantate da Abdallah Oumbadougou ci chiediamo se vale la pena tornare in Italia con Fedez e J-Ax. No, meglio restare nel Mali.